Bologna, Premio Mascagni. "Alla Farma la crisi si vince cambiando"

Il patron Armando Poma: "Innovazione, coraggio e competenza: oggi vendiamo in tutto il mondo. Nessuno resta a casa"

Armando e Andrea Poma in uno degli stabilimenti del gruppo. Nel 2016 il fatturato è stato di 16 milioni

Armando e Andrea Poma in uno degli stabilimenti del gruppo. Nel 2016 il fatturato è stato di 16 milioni

Medicina (Bologna), 16 maggio 2017 – Non chiamatela crisi: per Armando Poma, alla guida della Farma (Fabbrica accessori ricambi moto auto) dal 1987, è sempre stato solo un «modo differente di lavorare» (VIDEO).

Eppure anche lei nel 2009 avrà avuto i suoi problemi. No?

«Ho chiuso quell’anno con un buco di 5 milioni di euro nel fatturato».

E non ha fatto una piega?

«Avevo davanti due strade: mettere tutti in cassa integrazione o portare in azienda i miei risparmi».

Cassa integrazione, ovvio.

«Io a casa non lascio nessuno. Vede, nel mercato di oggi sembra che l’unico margine di crescita possibile sia dato dal risparmiare ogni giorno un centesimo in più nelle forniture, nelle materie prime, con le esternalizzazioni. Ma non ci rendiamo conto che, così facendo, depauperizziamo drammaticamente il nostro stesso settore».

C’è un’altra strada?

«Noi abbiamo sempre ragionato al contrario. In primo luogo portando dentro nuove produzioni, come una fonderia di zama che abbiamo acquisito e che oggi lavora per noi e per altri. In secondo luogo valorizzando le persone e le idee che possono avere. Se poi mi mancano i soldi, piuttosto mi ipoteco la casa. Così è stato nel 2009».

È bastato?

«Mi ha dato un anno per pensare a come affrontare i cambiamenti del mercato, dimenticando le rendite certe, le stesse con cui per anni le aziende della Motor Valley come la mia si erano beate. D’altronde io una storia simile l’avevo già vissuta».

Ce la racconti.

«Vede, la prima fortuna di questa azienda furono i tappi a serratura per i serbatoi auto, in anni in cui tutto era considerato un accessorio da comprare a parte. È andata bene finché le auto non hanno iniziato a uscire dalle fabbriche superaccessoriate».

Cos’ha fatto?

«Bisognava cambiare paradigma, puntare direttamente ai primi allestimenti. Solo che per i grandi marchi noi eravamo microscopici. Così abbiamo puntato su quei mercati di nicchia nei quali, con il nostro nome e la nostra esperienza, potevamo ancora fare la differenza. C’era da studiare, perché un nuovo allestimento prevede ogni giorno nuove garanzie, certificazioni, adeguamenti normativi. Ma ci siamo lanciati con entusiasmo, e oggi il 50% dei nostri prodotti riforniscono il mercato dei mezzi agricoli e da lavoro».

Nel 2009 cos’altro si è inventato?

«Prima di tutto abbiamo innovato il nostro prodotto principale, sviluppando sistemi di chiusura per serbatoi Adblue e per gli Euro 6. Quindi ci siamo detti: siamo bravi a fare tappi, perché fermarci a un solo mercato? Abbiamo acquisito un’azienda per lo stampaggio plastica e ci siamo allargati ai tappi per le macchine per le costruzioni, l’hobbistica, i serramenti, perfino le macchine per il caffè. I numeri ci hanno premiato: oggi produciamo 1,8 milioni di tappi all’anno, 25 milioni di particolari in zama, 800mila in plastica e abbiamo 470 clienti in tutto il mondo. Cina compresa».