Cesena, 16 marzo 2011 - Vicino all'altare c’è un cuore disegnato con tante rose bianche. In chiesa non si passa, non c’è posto. C’è un mare di persone che vuole dire addio a Stefania. Anche il sindaco, anche il prefetto e anche il vescovo, che quasi bisbigliando parla di fede, di Dio e di una vita che continua, che ricomincia appena dopo essere finita. Il dolore alle due e mezza del pomeriggio avvolge la chiesa di Calabrina dove un’intera comunità partecipa al funerale di Stefania Garattoni, uccisa mercoledì scorso a vent’anni dalle coltellate dell’ex fidanzato Luca Lorenzini.

"Anche se facciamo fatica a dirlo — predica monsignor Douglas Regattieri —, in questa circostanza in cui tutto sembra volerci convincere che il male, la violenza e la cattiveria hanno il sopravvento, noi vogliamo ridire a noi stessi e a tutti, che in Cristo e solo in Lui sta il senso del nostro pellegrinare".

Ad ascoltare ci sono gli uomini in divisa e in borghese della polizia e dei carabinieri (il padre di Stefania è ispettore al Caps), le uniformi della Croce Rossa e i volti segnati dalle lacrime di tantissimi amici, di Stefania e della sua famiglia. La chiesa non può contenere tutti. La scalinata e il prato sono pieni di persone in silenzio, strette le une alle altre. Piangono tutti. «Non abbiamo capacità speciali o parole illuminate per togliere tanto dolore dal cuore di chi piange la morte di Stefania — è sempre il vescovo che parla — siamo solo dei fratelli e delle sorelle che si mettono in fila (...) in punta di piedi per testimoniare la nostra vicinanza e la nostra condivisione a tanto dolore».

La salma viene benedetta, la funzione termina, ma Stefania resta lì, al centro della chiesa. Perché una ragazza si avvicina al microfono. Giulia, la sorella gemella, che vive a Senigallia. «Vorrei recitare una poesia — sussurra, con la voce che si mescola al pianto —. Stefania, sei bellissima, meravigliosa, come il mare subito dopo la tempesta e come una rosa che non sa pungere e che sa solo regalare gioia». Nelle parole ci sono i ricordi, gli ultimi, quelli del nove marzo, il giorno in cui Stefania venne uccisa: «Mi hai scritto che mi volevi vicino, che mi volevi bene. Eccomi, sono qui, sono con te. Ti amo».

Alla fine parla il parroco, don Renato Pagliarani, che ringrazia le istituzioni che con la loro presenza testimoniato la vicinanza di un’intera comunità e poi si stringe attorno ai genitori: «Il loro comportamento ci lascia un grande insegnamento: in ogni battezzato non può esserci odio. Nemmeno per il più terribile degli assassini».