"A 90 anni voglio tornare dai miei lebbrosi"

Bruno Fusconi ha scritto un libro sulla sua vita da missionario laico in Etiopia. "Arrivai nel ’76 e un cieco con le piaghe mi abbracciò"

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di Andrea Alessandrini

"Sto attraversando il novantesimo anno e sono riuscito a scrivere il libro sulla mia vita di missionario laico: quello che dovevo fare l’ho fatto". Il bilancio è di Bruno Fusconi, persona a cui Cesena vogliono bene in tanti. Con i fratelli ha fondato la ’Fratelli Fusconi forniture di ricambi per la carrozzeria dell’auto’,poi la vita ha avuto un corso imprevisto.

Lei ne parla nel libro. Perché lo ha scritto?

"Per me e per gli altri. Un lascito. Ho riannodato i fili della memoria e la gratitudine che ho per la vita per aver potuto identificarla con un percorso di fede e di evangelizzazione al servizio dei più bisognosi".

L’ha intitolato ‘Il grande albero’, che campeggia in copertina. Perchè?

"Quando da bambino guardavo le fotografie di paesi lontani nelle riviste missionarie, quelle che mi colpivano di più erano con sacerdoti, suore, laici e bambini seduti in cerchio attorno a un albergo dalla grande chioma ai margini della foresta. Ho voluto l’albero in copertina che mi colpì fanciullo, sotto il quale mi sono ritrovato e che mi dà pace".

Quando ha composto il libro?

"Durante la pandemia raccogliendo gli appunti scritti nel corso di cinquant’anni, al momento dei fatti narrati oppure ripercorsi con la memoria molti anni dopo".

Ex seminarista, celibe, commerciante. Poi cosa succede?

"La svolta. Nel 1976 arrivai a Gambo, in Etiopia nella foresta, alla casa dei missionari della Consolata. Non c’era acqua, mi lavai con uno straccio inzuppato d’alcol. Trovai in lebbrosario: la prima persona malata che mi si avvicinò, mi diede la mano e mi abbracciò. Era cieco e sfigurato in volto, arti inferiori e superiori mutilati. Fu la prima di una moltitudine che ho abbracciato".

Una vita a far la spola tra Gambo e Cesena.

"Già, metà vita là, l’altra a Cesena. La missione è fiorita con tante opere, di cui ho sempre reso conto: scuole, chiese, centro di avviamento al lavoro, ospedale. Ho visto bambini crescere, studiare, trovare lavoro, fare figli. Ho dato, ma ho avuto molto di più. Il mio modello è stato un grande missionario, don Tarcisio Rossi che avevo conosciuto a San Carlo. Con lui ho collaborato a Gambo".

Condivide un ricordo fra i tanti che ha inserito nel libro?

"Questo mi fa ancora sorridere. Io ho sempre curato le cose pratiche e mi trovavo a fare spesa al mercato di Lepis, il paese vicino alla missione, attorniato da un gruppetto di ragazzi lustrascarpe. Passavano bambini scalzi con i piedi e le gambe incrostati di sporco. Invece di cinque centesimi per le scarpe, ne offrii 15 ai lustratori per ripulire i bambini. Li hanno fatti nuovi! La gente incredula mi stringeva la mano dicendo ‘Bravo farengi (straniero)’. Per così poco...".

La diocesi e la città le sono state vicine?

"Sì, in tanti hanno donato. Il vescovo venne a Gambo nel 2013 e vide che cosa è stato creato".

Tornerà in missione nella sua casa africana?

"Vorrei tanto, a Dio piacendo".