"Abbiamo accolto 5 mamme e 7 bambini"

La tenuta ‘Le Camelie’ di Bertinoro ha dato ospitalità a famiglie ucraine in difficoltà: "Diamo loro il tempo di riprendersi dallo choc"

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di Raffaella Candoli

Con l’ultimo e particolarmente travagliato arrivo di Julia, mamma in avanzato stato di gravidanza e il suo figlioletto di 4 anni, ora è al completo la capienza della bella casa tra le colline di Bertinoro che accoglie 5 mamme ucraine e i loro 7 bambini, fuggiti dalla guerra. L’hanno messa a disposizione i coniugi Carlo Amelotti e Cinzia Lissi che nella tenuta ‘Le Camelie’, dove coltivano uva, hanno avviato, insieme ai tre figli, la cooperativa agricola sociale ‘Le Camelie’ allo scopo di aiutare persone fragili a riprendere la responsabilità della propria vita e il reinserimento sociale e lavorativo. Delle giovani donne che da alcuni giorni vivono sotto lo stesso tetto, solo due essendo sorelle si conoscono, le altre hanno sperimentato sulla propria pelle lo spirito di condivisione di un dramma e la sorellanza dettata dalla necessità, viaggiando prima in treno fino alla frontiera con la Slovacchia, poi su di un pullmino di un volontario ucraino che le ha condotte in Italia, e a Bertinoro, attraverso una rete solidaristica che coinvolge cesenati e ucraini qui residenti.

"La nostra casa – afferma Carlo Amelotti – vede passare persone in difficoltà e dunque è stato naturale darci disponibili all’accoglienza. Le incombenze sono tante: burocratiche, sanitarie, organizzative e gli impegni economici altrettanto pressanti, bisogna garantire riscaldamento, cibo e venire incontro alle necessità di chi è scappato e ha il suo mondo in una borsa da viaggio". "Condividiamo ogni momento della giornata con piccoli e adulte e i pasti con loro, come una grande famiglia – interviene Cinzia Lissi -. E, se la drammatica situazione non si risolverà in tempi brevi, il bimbo in arrivo nascerà qui. Stiamo dando a quelle persone il tempo di riprendersi dallo shock emotivo, dal cambiamento repentino della loro vita. Purtroppo, per via dei ponti cellulari distrutti non riescono a comunicare con i mariti e con i parenti e questo aumenta la loro preoccupazione. Verrà, speriamo, la possibilità di lavoro per le mamme e di inserimento scolastico per i bambini".

Dapprima chiuse nella riservatezza caratteriale e nei rispettivi dolori Oksana, Alina, Lara, Valeria e Julia stentano a raccontarsi, e certo la differenza linguistica non aiuta, ma con la mediazione di una giovane ucraina con funzione di interprete, danno finalmente voce a quelle tragiche vicende e parlano, parlano, in un atto liberatorio, sgranando gli occhi azzurri attraversati da orribili immagini di morte e distruzione. "Ma perché scappi – ha domandato la madre di Valeria, che vive in Russia -, i russi vengono liberarvi dal fascismo". "L’informazione che le arriva – riflette Valeria – è assolutamente di propaganda e falsata". "Sono stata con mia figlia Taissia di 7 anni – ricorda Alina - , insieme ad altre 10 persone del nostro condominio, per sei lunghi giorni al buio e al freddo di una cantina, mentre Karkhiv veniva bombardata dai russi. Il 24 febbraio, quando è scattato il primo impressionante urlo della sirena, la mia bambina indossava i calzini senza scarpe, l’ho trascinata via così com’era. Siamo sotto terra per lunghe ore di coprifuoco con poco o niente da mangiare e da bere, perché era pericoloso uscire". Oksana è di Kiev, con sé ha la figlia di 14 anni, e un figlio in guerra. È in uno stato di apprensione continua. Come Julia che ha il marito nell’esercito. Lei ha affrontato un viaggio con molti intoppi alle frontiere, incinta di 6 mesi e un bambino piccolo molto provato. Mentre conversiamo il rombo lontano di un aereo in atterraggio al vicino aeroporto di Forlì, porta di corsa in casa i bambini che erano fuori a giocare. La padrona di casa tranquillizza tutti: "qui siete al sicuro", ma non è facile. Ci vuole tempo. Un buon "ciai", un the fumante, rasserena per un momento gli animi scossi.