LUCA RAVAGLIA
Cronaca

Centri di accoglienza a Cesena, futuro d’incertezza

A fine anno scade la proroga per la gestione delle strutture: "Il rischio è che gli ospiti finiscano per strada o lontano"

L’incontro tra un richiedente asilo e l’assessora comunale Carmelina Labruzzo

L’incontro tra un richiedente asilo e l’assessora comunale Carmelina Labruzzo

Cesena, 25 ottobre 2019 - Sulla branda in alto del letto a castello ci sono tre peluche. Il più grande è un orsacchiotto che un tempo era bianco e ora porta i segni di una vita dura. Come quella del suo inconsueto proprietario, un uomo di nemmeno trent’anni che viene dalla profonda Africa e che prima di arrivare in Italia i peluche non sapeva nemmeno cosa fossero. «Ha lo spirito di un bambino – sorride chi lo conosce - La sera lo abbraccia e si addormenta sereno». Chi attraversa mezzo mondo - magari a piedi - per cercare un nuovo inizio, l’infanzia non l’ha vissuta: la pelle impara in fretta a indurirsi, ma per il cuore è tutta un’altra faccenda. E’ di questo che si parlava ieri mattina nei quattro centri di accoglienza visitati dall’assessora ai servizi sociali del Comune di Cesena Carmelina Labruzzo: di speranze e di sogni che non si è mai troppo grandi per sognare. Quelli di una vita migliore. Il primo portone che si apre è quello della struttura di Borello, per mesi sotto l’occhio del ciclone delle polemiche e ora immersa nel silenzio. Quindici posti disponibili e dieci occupati. Israel De Vito della Misericordia invita a entrare. Gli ospiti vengono dall’Africa o dall’Asia, hanno imparato l’italiano e lavorano praticamente tutti. «La situazione però non è così rosea, perché il rischio del lavoro nero è una costante. Facciamo segnalazioni e cerchiamo di seguire al massimo i nostri ospiti, offrendo il maggior supporto possibile». Per fortuna le storie a lieto fine ci sono. Come quella della ragazza nigeriana che si è messa alle spalle l’incubo della tratta della prostituzione e ora lavora in una pizzeria dalla Valsavio. «Ha un contratto a termine che sta per trasformarsi in uno a tempo indeterminato. Se lo è meritato, ci ha messo l’anima per imparare un mestiere che ignorava». Le camere sono spoglie, le coperte tirate sui letti, gli abiti ammassati sulle sedie. Qualche mobile andrebbe sistemato. «Non è facile investire quando a fine anno scadrà l’ennesima proroga concessa (di due mesi per volta) sulla gestione delle strutture . Il futuro è un’incognita e il rischio è che per queste persone non ci sia più un posto se non la strada. E dunque la clandestinità. E l’illegalità». In via Ancona e in via Ravennate, le strutture sono gestite dall’Asp. Gli ospiti aspettavano la visita e hanno appena finito di pulire. Parola di profumatore d’ambiente. Sono per lo più col telefono tra le mani, ad ascoltare musica o a mandare messaggi a casa. Oltre alle parole da qui parte anche il denaro, buona parte di quello guadagnato in Italia, che nei rispettivi Paesi d’origine equivale a una mezza fortuna. Per tutti la priorità sono i documenti e le trafile da seguire per ottenerli. Nel frattempo si impara l’italiano, si lavora e si progetta il futuro. «Tanti puntano all’Europa centro settentrionale, magari per ricongiungersi ad amici e parenti». La casa colonica di via Sant’Agà è la più grande: 25 posti e 23 ospiti, che nei momenti di emergenza sono stati ben di più. La gestione è della Croce d’Oro che amministra tra il territorio cesenate e quello riminese sei strutture per un totale di 57 migranti. La dispensa contiene i viveri per tutti loro: «Ogni settimana vengono consumati, tra i vari cibi, due quintali di pollo, 120 chili di riso e un migliaio di uova». La cucina è un grande locale con un piccolo fornello, praticamente sempre in funzione: ci si autogestisce in tutto, dalla preparazione del cibo alle pulizie, fino alle partitelle a pallone nel cortile. Da una parte la comunità francofona, dall’altra quella anglofona. Si parla poco, ma si vive in pace. E’ qui che c’è il letto col peluche, da abbracciare sorridendo prima di addormentarsi. E di sognare. Magari di veder nascere un bimbo, qui in Europa. E di regalargli quel peluche.