Guerra e pace nella repubblica delle donne

L’Islanda è nella Nato ma non ha esercito né ministro della difesa. Condanna l’invasione dell’Ucraina ma si appella alla diplomazia

di Ada Grilli*

Dalla finestra del mio alloggio temporaneo ad Akureyri, nel nord dell’Islanda, vedo una nave militare ancorata al porto. Non c’era fino a pochi giorni fa e questo colore verde bottiglia è sempre inquietante. C’è la guerra in fondo lontano da qui, anche se pur sempre in uno dei due continenti tra cui l’Islanda si trova intrappolata. Non sarà un campanello d’allarme anche per questa piccola nazione che si ritrova senza esercito e senza un ministro della difesa e che già durante la seconda guerra mondiale, proprio per la sua posizione si ritrovò a fare da ponte operativo tra Stati Uniti e l’Europa, tetro di guerra? Lo chiedo ad Hilmar Þór Hilmarsson, docente di international business and macroeconomia all’ Università si Akureyri, che mi accoglie in una delle palazzine quasi in cima alla collinetta vista fiordo.

"L’Islanda è membro della Nato fin dal 1949 e la difesa del Paese è affidata dal 1951 agli Stati Uniti in virtù di uno specifico accordo bilaterale sul tema della sicurezza. Perciò non abbiamo un esercito ma solo una guardia costiera e abbiamo escluso una presenza militare americana nell’isola, di cui nemmeno oggi abbiamo bisogno, pur essendo rimaste qui le infrastrutture di questa presenza post bellica. E’ vero tuttavia che lo scenario è cambiato nelle ultime settimane e dunque si è riaperta la discussione sulla presenza dell’Islanda nella Nato e sulle sue relazioni con l’Europa".

Ma se le cose stanno così e si è tornati sul vecchio dilemma Nato Sì-Nato No occorre andare un po’ indietro nella storia del Paese per capire questa posizione del tutto anomala rispetto all’Europa. In Islanda- repubblica parlamentare democratica dal 1944 - esisteva fin dalla seconda guerra mondiale una stazione navale americana che servì da ponte verso l’Europa per il trasferimento di uomini e materiali fino al 2006, quando fu chiusa e passò poi nel 2011 sotto l’autorità della Guardia Costiera Islandese. L’aeroporto internazionale di Keflavik è un retaggio, oggi prezioso, di questa presenza americana. Ma qualche decennio fa, quando il turismo sull’isola non era ancora esploso, e Keflavik significava soldati americani a cui bisognava presentare il passaporto islandese, questa storia e la sua ufficiale estrema sintesi (dicasi Nato) non piacque proprio. Infatti fin da subito, ossia già il 30 marzo 1949, e poi ancora in seguito, l’appartenza dell’Islanda alla Nato appena votata fu contestata. Come attestato anche dalla stampa americana, un’altra manifestazione, titolata dal New York times "Gli elfi islandesi contro la Nato", ancora del 30 marzo, ma del 1982. Il quotidiano neworkese commentò paternalisticamente l’evento: "L’islanda è una nazione così pacifica che, nonostante sia membro della Nato dal 1949, non ha un esercito, né forza aerea o navale, e nemmeno un ministro della difesa, ma solo una guardia costiera di 114 elementi che controlla le acque tumultuose dell’Islanda con sei navi, di cui solo 4 operative".

L’esito, nonostante la violenza della rivolta, rimase inalterato. La sinistra islandese poi tra gli anni ’50 e ’60 prometteva regolarmente di uscire dalla Nato e lo slogan “Islanda fuori dalla Nato” era diventato parte della cultura islandese.

Ancora si ricordano nel Paese le iniziative della allora presidente della Repubblica Vigdis Finnbogadottir, prima donna capo di stato al mondo che negli anni ’60 e ’70 partecipò a numerose manifestazioni contro la presenza militare statunitense in Islanda. Ancora nel 1974 il Governo propose la chiusura della base di Keflavik, ma poi una alternanza dei poteri al governo fece tornare alla posizione pro Nato. Fine della storia? Nel 2006 gli americani chiudono la base. Armi militari e famiglie tutti a casa. E si preparano a riaprirla con la costruzione di un moderno aeroporto nel 2017.

E intanto però nel 2015 l’attività militare russa intorno all’Islanda aumenta e di conseguenza gli americani di nuovo tornano sull’esigenza di riaprire la base Nato a Keflavik. Ma quale è la posizione ufficiale del governo in queste preoccupanti settimane? La Prima ministra in carica dal 2017, Katrin Jakobsdottir, seconda donna primo ministro nella storia della repubblica, si oppone alla adesione dell’Islanda alla Nato, ma a seguito di un compromesso con gli alleati di governo, il Paese resta membro e non approva la proposta di un referendum circa la permanenza del paese nel Patto atlantico. E il 24 febbraio la prima ministra, appoggiata dalla sua ministra per gli affari internazionali, condanna fermamente l’attacco della Russia all’Ucraina, considerata una invasione non provocata, in violazione palese del diritto internazionale. E stanzia un milione di euro per il supporto umanitario. Molto vicino a questa posizione anche l’ex presidente della repubblica islandese Olafur Ragnar Grimsson - in carica tra il 2006 e il 2016 - che in un intervento sui media il 20 marzo sostiene che la guerra in Ucraina diminuisce il bisogno per l’Islanda di avere basi militari e fortemente auspica che si abbandoni il linguaggio offensivo per cercare piuttosto un accordo, considerato anche che la Russia non cede alle restrizioni economiche dell’Unione Europea. Siedo ancora davanti al professor Hjalmar mentre osservo la nave della guardia costiera, immota nelle acque placide del fiordo.

Non vede una contraddizione, chiedo, tra l’essere membro della Nato e restare fuori della UE? "La discussione si è riaperta in tempi recenti, alla luce degli eventi recenti in Ucraina - precisa il professor Hjalmar- ma al momento nessun partito al governo sostiene l’ipotesi di un ingresso dell’Islanda nella UE. E no, non vedo contraddizione. In fondo abbiamo pieno accesso al Mercato Comune Europeo e la nostra economia è in buona salute".

*giornalista e arctic analyst