GABRIELE PAPI
Cronaca

Quando la Valdoca era il paradiso... delle oche

La cronache narrano che prima di diventare un popoloso borgo era una valle in cui questi uccelli nuotavano e si abbeveravano

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di Gabriele Papi

Storie dell’oca, in salsa cesenate e non solo. Si fa presto a dire oca: pensate invece alla storia secolare della Valdoca, popoloso borgo a ridosso del centro cittadino. Un nome antico, derivato dalla valle locale dove - affermano antiche cronache - ‘anseres innatabant’: le oche nuotavano e si abbeveravano. ‘Anser’ è anche oggi il ‘cognome’, in latino scientifico, dei vari tipi di oche: una sorta di carta d’identità con validità internazionale per distinguere le varie specie, con buona pace dei ‘pataca’ che ritengono il latino roba inutile.

Valdoca: che si trattasse d’una valle lo racconta ancora oggi il dislivello che dall’altezza delle Poste scende giù via Paiuncolo, nome misterioso ma non troppo. Paiuncolo, anticamente ‘pagliainculo’, era il nome popolare d’un uccelletto delle zone umide (il basettino) che ha sempre colpito la fantasia popolare per la sua lunga coda che sembra quasi un pennacchio di canna infilato nel di dietro (del resto, Cesena è anche il nome d’un uccello, della famiglia dei tordi). La Valdoca medioevale faceva parte di un sistema vallivo allora collegato con la Vallona, la zona orientale dell’attuale area di viale Carducci ove sorgeva una piccola altura, il Monte Roseto, su cui nascerà ai primi del 1600 la chiesa di Madonna delle Rose. L’oca è stata tra i primi animali ad essere addomesticati: le siamo debitori, in termini storici, di varie utilità. La penna d’occa, ad esempio. Era lo strumento di scrittura prediletto anche dai valenti copisti della nostra ‘Malatestiana’. La ‘cannula’, cioè la penna, veniva temperata con un apposito coltellino, prima di intingerla nei calamai, in modo da ottenere il taglio di scrittura desiderato. L’oca romagnola è tra le varietà domestiche più rinomate, tra le sue congeneri vanta il record quanto a deposizione di uova.

Sta operando per la sua salvaguardia l’Arvar (associazione razze e varietà autoctone romagnole) con referenti anche nel cesenate. L’oca romagnola è tipica delle antiche Romagne: Bologna, Ferrara, e l’attuale Romagna. Fu anche definita impropriamente, circa un secolo fa, l’oca di Roma, trovata pubblicitaria del regime fascista. 1924: Barcellona, esposizione avicola internazionale, quasi una Coppa dei Campioni tra volatili.

Belle oche romagnole, bianche, loquaci e spavalde, vennero fatte passare dal marketing littorio come dirette discendenti delle famose oche del Campidoglio, sacre a Giunone, che sventarono l’attacco notturno dei Galli - mentre sentinelle romane e cani da guardia se la dormivano- starnazzando e lanciando allarmi indiavolati. Non è una favola la difesa, senza paure, del loro territorio verso qualunque intruso da parte delle oche, sia domestiche che selvatiche. Quanto al detto infelice ‘avere il cervello di un’oca’ (in genere riferito ad una donna), va saggiamente rivoltato come un calzettino. Memorabili le pagine scientifiche dedicate all’intelligenza delle oche dal padre dell’etologia Konrad Lorenz.