Andiamo a trovare i tanti Mario d'Italia

di MASSIMO PANDOLFI - Si fa chiamare Mario, è marchigiano, ha 43 anni, faceva il camionista, dieci anni fa ha avuto un incidente e da allora è tetraplegico. Non ce la fa più, ha chiesto di morire, negli ultimi mesi è diventato l'emblema della battaglia per ottenere una legge sul suicidio assistito e attorno alla sua battaglia se ne dicono tante, troppe. Argomenti delicati e complicati, con le parole ci si incarta.  Ci si incarta un po' di meno se a pronunciare queste parole sono loro, i protagonisti, chi vive così, chi non ce la fa più a vivere così e chi magari invece ce la fa. Migliaia di Mario vivono/sopravvivono in Italia.  Paolo Marchiori ha 59 anni, da 15 convive con la Sla ed è nelle stesse condizioni di Mario, anche se a differenza di Mario continua fortissimamente a voler vivere. Leggete cosa dice, anzi detta col comunicatore vocale perché dalla sua bocca non esce più neppure un filo di voce. 1) 'Non possiamo giudicare la scelta di chi non ce la fa più a vivere in determinate condizioni. La maggioranza parla a vanvera, non sa niente delle difficoltà quotidiane di un paralizzato, ma anche le difficoltà della famiglia, per cui lo stesso malato si può sentire un peso e con questo pensiero vive male'. 2) 'Io sono cattolico e considero la vita una cosa sacra, ma da cattolico dico anche che c'è un limite alla sofferenza. E questo limite non è uguale per tutti e mi altero quando sento dire che quel malato non accetta la malattia. Nessuno accetta una malattia, si accetta la condizione a seconda della viglia di vivere'. 3) 'La famiglia da sola non ce la fa. Io vivo per mezzo di due ausili, un tubo per mangiare e uno per respirare. Nei primi anni della malattia ero contro la tracheostomia, poi nel momento critico ho cambiato idea. Ma tutto dipende dal proprio carattere e dal contesto in cui si vive e come si vive. Come si riesco a dare un senso alla propria vita anche in condizioni difficili'. 4)'Ognuno, e lo dico da laico, deve avere la libertà di scelta della propria vita. Dobbiamo però capire il perché di certe scelte. Ci sono troppe persone che soffrono e che sono dimenticate e quando uno decide di morire la colpa è di tutti perché non si trova mai il tempo di andare a trovare un malato'. 5) 'Possiamo fare tutte le leggi che vogliamo, e dare la possibilità di morire a chi vuole, ma diventa una sconfitta della società, perché non c'è una cultura della sofferenza, manca la cultura che aiuta a capire, ad accettare e a condividere. Questo porta le persone ad avere paura, per cui chi soffre rimane sempre più solo, e la solitudine ti uccide'. E poi l'appello finale di Paolo Marchiori, che ci sentiamo di sottoscrivere in toto: 'Se abbiamo un po' di tempo libero, dedichiamone una parte a chi vive in una struttura, o anche a domicilio. Sono persone che soffrono per la malattia, ma anche e soprattutto per la solitudine e il senso di abbandono'.