Il valore (e il dolore) di un’indagine

Spese pazze: cosa resta, cosa è mancato

L'inchiesta ‘Spese pazze’ in Emilia-Romagna è stata una clamorosa sconfitta della Procura? E’ stata un massacro per le indagini ‘pigliatutto’ in odore di giustizialismo vintage da Mani Pulite? O, invece, era il segno evidente di una politica ‘tradizionale’ moribonda concentrata su soldi e interessi personali? Ancora: nonostante le assoluzioni, l’indagine ha comunque scoperchiato un vaso di Pandora e modificato, per sempre, comportamenti moralmente inaccettabili ma spesso non penalmente rilevanti? E infine: è giusto che molti di quella ‘generazione’ siano stati spazzati via dalla politica dopo anni di sofferenza? Come spesso accade nella vita, la verità sta in mezzo. Con le scale di grigi, le sfumature, le ombre. Non il bianconero tipico delle distorsioni. E dieci anni dopo c’è la consapevolezza che quelle storie siano anche un po’ storia. Dunque.

I comportamenti (fra gli oggetti messi a rimborso finirono due vibratori, tutine per bebé, bracciali, catalane di crostacei) erano indubbiamente sconvenienti. Irrispettosi. E l’inchiesta, anche se dal punto di vista penale non ha inciso, ha contribuito a cambiare le regole sulle spese. Nelle Marche la situazione è più complessa, ma resta la distonia fra il clamore dell’inchiesta e l’accidentato esito processuale. Archiviazioni o assoluzioni non devono e non possono essere vissute sempre come una sconfitta, anche se guardiamo i fatti col punto di vista di chi promuove l’azione penale. Intanto perché in ballo resta comunque la giustizia contabile. E, poi, perché in un mondo dove il diritto penale s’è fatto totale (venendo invocato sempre come intervento salvifico, come rimedio ai mali più disparati, prescindendo a volte dalle colpe individuali) bisogna saper riconoscere e rispettare i percorsi della giustizia. Il valore di civiltà è la sentenza migliore: indagare può essere doloroso, ma è doveroso; condannare (in tutti i sensi) non sia mai automatico.