Ferrara, indagini sull'affiliato all'Isis. Perquisizioni in provincia

Incubo terrorismo dopo il caso Foggia, al vaglio della Digos alcune abitazioni sospette

Immagine dal video rilasciato dalla Polizia sull’arresto di Foggia

Immagine dal video rilasciato dalla Polizia sull’arresto di Foggia

Ferrara, 28 marzo 2018  - Teste sgozzate, racconti di odio e violenza, istruzioni per fabbricare armi e bombe. Immagini e parole che sarebbero state mostrate per mesi ad un gruppo di bambini tra i 4 e 10 anni durante lezioni di religione islamica che, in realtà, erano veri e propri seminari di propaganda e indottrinamento jihadista. A tenere quelle lezioni, era il 59enne Mohy Eldin Mostafa Omer Abdel Rahman, cittadino italiano di origine egiziana e residente a Foggia, arrestato su disposizione della Dda di Bari. E i tentacoli della maxi inchiesta sono arrivati fino a Ferrara dove, la notte tra lunedì e martedì, la Digos della nostra questura ha effettuato alcune perquisizioni in abitazioni ritenute sospette. Sul contenuto delle stesse, al momento, nulla trapela ma, da indiscrezioni emerse, tutte avrebbero riguardato la provincia e nella rete sarebbero finiti alcuni documenti e computer. Tutto materiale finito dritto nelle mani della Dda di Bari che ora incrocerà i risultati e valuterà se altre persone potrebbero essere legate al 59enne di Foggia.

Mohy Eldin Mostafa Omer Abdel Rahman presiedeva l’associazione culturale «Al Dawa», ed ora è chiamato a rispondere di terrorismo internazionale e istigazione a delinquere. Proprio all’interno dell’associazione - ora sotto sequestro - l’uomo, secondo le accuse, insegnava ai bambini, una decina in tutto, il concetto di guerra santa, spiegando loro che l’unico modo per ottenere il Paradiso era la morte in battaglia. La vicenda è stata segnalata anche al tribunale per i minorenni di Bari che ha aperto un fascicolo «a protezione dei bambini - spiega il presidente Riccardo Greco - perché le immagini crude e i messaggi di violenza potrebbero aver generato turbamenti». Nell’indagine è coinvolta anche la moglie di Abdel Rahman, una italiana molto più anziana di lui, Vincenza Barbarossa, di 79 anni, che non è sospettata di terrorismo ma di reati fiscali e destinataria insieme al marito di un sequestro di beni per complessivi 370 mila euro. Si tratta dei soldi che l’egiziano riceveva attraverso la cosiddetta «zakat», una sorta di raccolta fondi tra i musulmani che frequentavano la moschea Al Dawa, e che, secondo gli investigatori, veniva accumulato e gestito in maniera poco trasparente.