Minacce a Lodi, lettere al vetriolo e messaggi La ’confessione’: "Scusa, ho fatto una porcata"

L’indagata promette altri colpi di scena: "Tutti i nodi verranno al pettine". Intanto gli inquirenti hanno isolato un’impronta su una missiva

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"Tutti i nodi vengono al pettine, non si preoccupi". Dall’evidente consegna del silenzio, poche parole con cui Rossella Arquà, indagata per le minacce al vicesindaco Nicola Lodi (foto al centro, Arquà a destra), annuncia l’intenzione di parlare, ma con i propri tempi. Sin qui le uniche parole sono quelle che filtrano dalle conversazioni via Whatsapp, nelle ore convulse della scoperta dell’accaduto.

"Scusa, ho fatto una porcata", scrive al vicesindaco l’ex consigliera ed ex responsabile provinciale dell’organizzazione della Lega; sono le 21, si è conclusa da poco la perquisizione nella propria abitazione, e la Arquà chiede un colloquio chiarificatore. "Solo tu e io, poi mi tolgo da x tutto". Lodi non concede l’incontro, e replica: "Ho saputo e sono inc.... nero". Ma la Arquà, che in un altro messaggio prova a giustificarsi ("L’ho fatto perché ero disperata"), insiste: "Penso che tu immagini ma x favore vediamoci ti prego". La chat, nei mesi precedenti, era stata inevitabilmente fitta: da consigliera comunale (e ritenuta nel ’cerchio’ ristretto di Lodi), e da responsabile dell’organizzativo della Lega. Ruolo per il quale la Arquà percepiva anche un rimborso spese, che secondo qualcuno sarebbe stato però ridotto o interrotto, da aggiungere ai gettoni per le presenze (sia pure solo online) a Consiglio e commissioni. "A fine mese, così, si faceva un modesto stipendino", commenta un collega di maggioranza, comunque sconcertato per l’accaduto. Ma restiamo ai dialoghi via Whatsapp, che si fanno strani in concomitanza con l’arrivo delle buste al veleno. In uno, la Arquà sembra addirittura voler colpevolizzare un collega di gruppo: "Guarda che (...) sa dove ero andata ad abitare", scrive riferendo a una lettera spedita alla sua abitazione. Ma i motivi? In attesa delle verità promesse dall’ex consigliera, e da quelle che saranno gli inquirenti ad accertare, si resta nel campo delle ipotesi. Parla ancora di "gelosia morbosa", ma limitata all’ambiente politico, il vicesindaco Lodi: "In una delle lettere che ho ricevuto c’è scritto ’Stai attento tu e la tua beniamina’. Forse si considerava così, e vedersi non coinvolta nelle iniziative può averle scatenato quella reazione".

Nel frattempo, proseguono nel massimo riserbo le indagini. Arquà risulta indagata per minacce, simulazione di reato (in quanto in alcune lettere compaiono anche intimidazioni rivolte alla stessa ex consigliera leghista) e procurato allarme (anche se su questa ultima ipotesi gli inquirenti stanno ancora svolgendo le opportune valutazioni). Il prossimo atto sarà verosimilmente l’interrogatorio, che il pubblico ministero Isabella Cavallari, titolare dell’inchiesta, potrebbe disporre a breve. In quell’occasione la ex leghista avrà la possibilità di chiarire la propria posizione. Intanto emergono nuovi dettagli a comporre il puzzle di una vicenda che va avanti da aprile, quando spuntò la prima lettera minatoria indirizzata a Lodi. Delle dieci missive, solo due sono state spedite via posta (il timbro è quello di Bologna), tutte le altre sono state consegnate a mano, per lo più inserite nella cassetta delle lettere della sede della Lega o fatte pervenire in municipio. Una di queste è stata invece appoggiata sul cofano di una macchina parcheggiata poco distante dalla sede del Carroccio. Una scelta che, secondo chi indaga, avrebbe una ragione ben precisa. Arquà, in quanto responsabile organizzativa del partito, si occupava anche di aprire e chiudere gli uffici di via Ripagrande. In forza di questo suo ruolo avrebbe quindi saputo dell’installazione delle telecamere da parte degli investigatori della Digos per incastrare il responsabile delle minacce. La scelta di non imbucarla quindi, secondo le ipotesi investigative, potrebbe essere stato un tentativo di non farsi scoprire. Ma non è tutto. A quanto si apprende, gli inquirenti hanno isolato un’impronta su una delle lettere e stanno svolgendo tutte le analisi del caso. Al momento, non sarebbe ancora stata attribuita a un’identità precisa.

Federico Malavasi

Stefano Lolli