
di Alfredo Marchetti
"Ero fan di Jannacci. Ricordo che a 12 anni ero ricoverato al Mangiagalli. Lui era uno dei medici che faceva il giro in corsia. Quando passò per visitarmi... dormivo". Nella coloratissima scenografia disegnata da Giorgio Gallione, Elio (Stefano Belisari), dal 14 al 16 gennaio al Comunale, porterà in scena ’Ci vuole orecchio’, lo spettacolo che mira a raccontare tramite le canzoni Enzo Jannacci. Con lui 5 musicisti, i suoi stravaganti compagni di viaggio, che formeranno un’insolita e bizzarra carovana sonora: Alberto Tafuri, Martino Malacrida, Pietro Martinelli, Sophia Tomelleri e Giulio Tullio al trombone. A loro toccherà il compito di accompagnare lo scoppiettante confronto tra due saltimbanchi della musica, Enzo ed Elio, alle prese con un repertorio umano e musicale sconfinato e irripetibile, arricchito da scritti e pensieri di compagni di strada, reali o ideali. Uno spettacolo un po’ circo, un po’ teatro. (Le canzoni: Saltimbanchi, Ci vuole orecchio, Silvano, Sopra i vetri, Taxi nero, La luna è una lampadina, L’Armando, El purtava i scarp del tennis (estratto), Faceva il palo, Son s’ciopaa
Parlare con i limoni, Vivere, Quando il sipario calerà, T’ho compraa i calsett de seda). In questo modo Elio, dopo aver portato in scena Gaber, rilancia l’atmosfera del Derby di Milano con altro suo grande componente.
Come sta andando lo spettacolo?
"Ormai abbiamo fatto circa 30 repliche e devo dire che è andato bene dal nord al sud, con mia grande meraviglia ed entusiasmo. Temevo che il centro sud non avrebbe apprezzato, ma mi sono piacevolmente ricreduto. i
Perché la scelta di portare in scena Enzo Jannacci?
"Parte da lontano: mio padre era in classe insieme a lui, fin da quando ero piccolo ascolto le canzoni di Jannacci, sono cresciuto con i mangiadischi, la canzone che mi piace di più di Enzo è ’Giovanni telegrafista’, che inaspettatamente non fa ridere, ma fa piangere. Enzo era un fenomeno in quella roba lì, passava con disinvoltura dal comico e drammatico"
Ha mai avuto modo di incontrarlo?
"Ci siamo incrociati tante volte, lui sapeva chi ero, ma non abbiamo mai parlato. Sono cresciuto con le sue canzoni grazie a papà. Prima di incrociarlo per lavoro ricordo che c’è stato un altro incontro: avevo 12 anni, era il 1973, ero stato operato di appendicite. Ero ricoverato in ospedale, al Mangiagalli. Uno dei dottori che faceva il giro in corsia era Jannacci. Quando lui passò a visitarmi... stavo dormendo"
Crede che la sua musica abbia influito sulla sua formazione artistica?
"Sicuramente. Fin da bambino ho capito che la musica poteva far ridere e questo era affine con il mio carattere. Ho sempre cercato quei personaggi che descriveva Enzo. Seguivo ’Alto gradimento’, ero un accanito fan di quell’esempio dell’assurdo dentro una Rai molto ingessata all’epoca. Quando venne fuori la coppia Cochi e Renato per me fu un fulime a ciel sereno, una rivelazione"
C’è in Italia qualcuno che può proseguire questo filone?
"Credo che Valerio Lundini sia molto bravo, segue l’onda surreale che piace a me. Oggi però è più difficile, non c’è più niente da abbattere, puoi fare tutto. Ho imparato che la mancanza di limiti, che potrebbe sembrare un vantaggio, diventa uno svantaggio per l’artista"
Perché poi c’è il mondo dei social a giudicare e il politicaly correct...
"Non vivo mai tranquillamente quello che vedo nel mondo social. Non ci sono, mi limito a esserne spettatore. Il politically correct lo considero una sciagura: non si tratta di una normale censura come poteva avvenire negli anni di Jannacci dove c’era una commissione di esperti, ma qui ci sono i tribunali del popolo come durante la Rivoluzione francese, e ci ricordiamo tutti le atrocità che sono state fatte"
Ci descrive lo spettacolo?
"Assieme a Giorgio Gallione eravamo reduci dall’aver portato in scena ’Il grigio’ di Giorgio Gaber. Su quell’onda gli ho chiesto di rappresentare l’arte e la vita di Jannacci, artista che trovo più vicino a me. Il progetto era stato più facile con Gaber perché aveva lasciato materiale per la scena con lavori suoi. Jannacci ha lasciato solo canzoni, bisognava costruire lo spettacolo. Abbiamo quindi scelto di raccontare il cantautore tramite una serie di canzoni. Mancano alcuni brani celebri come ’Ci vuole orecchio’, ’Silvano’, perché non volevamo limitarci a omaggiarlo, ma raccontarlo secondo il nostro pensiero, ovvero dalla prima fase degli anni ’70 come ’Aveva un taxi nero’, il periodo che più mi piace di Enzo, il più assurdo, surreale e anche comico, per poi andare al successo commerciale, come ’Ci vuole orecchio’ per arrivare poi alla fase finale intimista e anche meno nota, e l’ultimo brano che scrisse per Milva ’Quando il sipario’, canzone malinconica. Tra un brano e l’altro Gallione ha selezionato scritti o recitati di autori che sono stati vicini a Jannacci, che servono per raccontarlo come Michele Serra, Umberto Eco e anche testi miei".
Uno spettacolo dove il primo a divertirsi sarà lei. Giusto?
"Si, mi diverto molto perché era una cosa che volevo fare da tanti anni. Sul palco con me ci sarà anche una band di 5 musicisti con cui siamo diventati amici, ci divertiamo e abbiamo notato che lo spettacolo piace alla gente. A Capodanno a Trento c’erano i miei figli in platea, si sono divertiti come i pazzi"
Progetti per il futuro?
"Andiamo avanti con questo spettacolo anche nel 2023 e tra poco inizia ’Italia’s got talent’. E poi è appena uscito un libro con Alessandro Maestri, il grande lanciatore di baseball della nazionale, sulla sua vita"