Sbagliato vietare l'uso del telefonino

Nell’ambito della contro-cultura italiana degli anni ’70, si registrava un ampio dibattito sulle droghe: in prevalenza si condanna l’uso di alcune sostanze, specie eroina e metanfetamine, mentre si domanda la legalizzazione di altre (cannabis, allucinogeni). Nel 1973 si registrano i primi decessi per overdose. Ciò accelera il dibattito sociale e politico sulle droghe, portando prima alla messa in discussione della vecchia legge sulle droghe del 1954, e poi all’approvazione della nuova legge nel 1975. La nuova legge propone pene e percorsi diversi per consumatori e spacciatori, stabilendo per i consumatori il diritto alla cura, ratificando il cambiamento dell’immagine del “drogato” da deviante a malato.

Successivamente a questi eventi si registra anche un cambiamento della modalità di comunicazione. L’idea non è più quella di colpevolizzare chi usa sostanze e nemmeno chi aveva contratto HIV : perciò si cerca di far prevenzione rendendo le persone consapevoli di quali sono gli effetti e cosa le droghe provocano nell’organismo.

Ad oggi le modalità di prevenzione virano verso la conoscenza delle sostanze. Ho pensato che questo cambiamento storico a livello comunicativo rispetto alle sostanze dovrebbe diventare insegnamento anche per quanto riguarda l’uso del telefonino. Se abbiamo capito che vietare non previene l’uso di sostanze, perché oggi stiamo ancora cercando di vietare e demonizzare l’uso del telefono? Certamente l’abuso è da condannare ma se “tolleriamo” l’uso di cannabis, togliere e vietare il telefono? Se demonizzo l’uso dei telefoni l’altro (preadolescente o adolescente) non si sente accettato. Se la modalità di comunicazione verso gli adolescenti dovrebbe essere “non giudicante” come posso pensare che vietandogli lo strumento, che spesso, lo tiene in relazione con gli altri, il ragazzo potrà accettare di farsi aiutare? Per questo continua a pensare che vietare non sia corretto ma serva piuttosto empatizzare con loro per educarli al corretto uso.

Giovanni Meloncelli, Psicologo clinico - scolastico, educatore