«Bimbi in affido, mancano i controlli»

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- MIRANDOLA -

«CHIEDIAMO un controllo sulle comunità di accoglienza dei minori. Ausl e Comuni, a seconda delle realtà territoriali, inviano i bambini in case famiglia del territorio e la legge regionale impone loro di verificare con regolarità quelle strutture. Ma quando sei ‘cliente’ fai molta più fatica a monitorare le attività a cui ti sei rivolto. Chiediamo l’assoluta trasparenza». Così Antonio Platis, consigliere FI ieri nel corso di una conferenza stampa indetta per mettere in luce alcune proposte volte a modificare le delibere di giunta regilare che regolano la formazione degli assistenti sociali e le case famiglia. Richieste già accennate in passato ma che ora chiedono una celere risposta a fronte dell’inchiesta sugli affidi illeciti Angeli e Demoni. Come noto la procura di Modena indaga su quell’incarico per la psicoterapia della bimba di Mirandola, tra le presunte vittime dell’‘affaire affidi’ di Bibbiano, alla dottoressa Nadia Bolognini. Incarico ‘firmato’ dall’Unione Comuni Area Nord alla moglie di Claudio Foti quando entrambi risultavano già indagati e la stessa si trovava ai domiciliari. «Dal primo settembre – incalza Platis – la bimba risulta in carico all’Ausl. Questo significa che non era indispensabile affidare l’incarico a privati. E’ inaccettabile che non si disponga delle risorse necessarie a far fronte a bisogni primari come quello di cure destinate ai bambini. Servono più operatori nelle strutture pubbliche e più formazione». Platis torna quindi sul ‘sistema comunità’. «Va rivista la normativa riguardo alle case famiglia: secondo la letteratura scientifica un bambino che si allontana da casa per oltre sei mesi subisce un trauma. Eppure ci sono minori, come nel caso della bimba di Mirandola, il cui futuro è già scritto: viene indicata la comunità fino alla maggiore età nonostante la disponibilità sui territori di famiglie affidatarie. Non vengono rispettate dunque neppure le linee di guida sanitarie». Tra le altre modifiche che Platis propone di approntare, quelle legate alla vigilanza sui dati. «Dal depotenziamento delle province abbiamo scoperto come nessuno si sia più occupato della rendicontazione: non sappiamo quanti utenti risultano in carico ai servizi. Gli ultimi dati riguardano il 20162017 e proprio tra il 20172018 abbiamo scoperto il peggio. Il piano di zona Val D’Enza, ad esempio, parla di mille minori coinvolti. Se quel dato fosse stato esaminato prima qualcuno sicuramente sarebbe intervenuto. Il monitoraggio una volta in mano alle province – spiega – ora è in carico alla Regione che non è evidentemente in grado di gestirlo. Come facciamo a sapere quante risorse mettere a bilancio se non conosciamo il numero degli utenti?». Platis, tirando le somme, chiede quindi che si investa su psicologi e operatori nelle strutture pubbliche ma anche su un’adeguata formazione, valorizzando le risorse interne».