Modena, razzismo sui social. Lavorerà gratis 400 ore

Il giudice ha concesso la messa alla prova a uno degli indagati che su Facebook postarono frasi contro i sinti

Razzismo sui social, pagherà col volontariato (foto d'archivio StudioSally)

Razzismo sui social, pagherà col volontariato (foto d'archivio StudioSally)

Modena, 5 febbraio 2020 - Quattrocento ore di lavoro socialmente utile per aver scritto su Facebook frasi dal contenuto discriminatorio , altrimenti dette diffamazioni con l’aggravante dell’odio razziale. La vicenda delle offese su Facebook indirizzate ad un gruppo di nomadi che vive nella nostra città è approdata ad una primissima definizione. Uno degli indagati (inizialmente erano undici e di questi in sei andranno a processo il prossimo 20 febbraio) ha chiesto ed ottenuto la messa alla prova, dopo essere stato individuato appunto quale autore di alcune delle frasi finite all’attenzione della procura. Il giudice Barbara Malvasi ha accordato la messa alla prova nei confronti di un cittadino modenese di 46 anni, che ora potrà ottenere la sospensione del procedimento a suo carico a fronte dello svolgimento di 400 ore di lavoro non retribuito. Inoltre lo stesso giudice ha anche stabilito che l’interessato dovrà impegnarsi in azioni risarcitorie o riparatorie nei confronti dei destinatari di tali offese, che nel caso specifico sono ’rappresentati’ da un 50enne residente in via Ponte Ghiotto (il cui legale è l’avvocato modenese Nicoletta Tietto), dove vive una famiglia di ’nomadi’ sinti.

Ripercorriamo la vicenda: nel 2014 il 50enne decide di fare denuncia dopo aver letto sul più noto fra i social network frasi offensive rivolte contro la sua famiglia e più in generale la loro presenza, dei sinti, in quel terreno. Interventi che erano scritti a commento di un articolo di cronaca giornalistica nel quale si ricostruiva la vicenda di un appezzamento agricolo acquistato dai componenti del nucleo dove poi gli stessi si erano stabiliti. Dopo la denuncia del 50enne, che aveva evidenziato diverse frasi diffamatorie e con la discriminazione razziale e riferimenti al nazismo, la procura aveva aperto un fascicolo, inserendovi tutte le persone autrici, sul social, di queste frasi. Come detto, inizialmente erano state undici le persone chiamate a rispondere dei post razzisti, quattro di queste posizioni erano state depennate dal pubblico ministero Francesca Graziano, titolare dell’indagine, mentre un’ultima, il 46enne, aveva presentato domanda di messa alla prova, attraverso il suo legale Fabrizio Canuri. Secondo quanto emerge dall’inchiesta sull’odio via social, l’uomo avrebbe scritto su Facebook frasi che facevano riferimento a campi di concentramento o alla possibilità di "dare fuoco" ai destinatari di tali parole, come detto i sinti.

Questi commenti non gli costeranno dunque una condanna, se tutto andrà come previsto, ma l’equivalente di 50 giorni lavorativi sì. Inoltre c’è un’altra questione aperta, che deve ancora essere definita. Il magistrato, come dicevamo, concedendo la messa alla prova ha previsto anche azioni risarcitorie o riparatorie, che dovranno concretizzarsi nei prossimi sessanta giorni. Inizialmente, da quanto trapela, l’indagato aveva avanzato, attraverso il suo legale, la proposta di un versamento pari a 500 euro a favore di un’associazione che a livello nazionale rappresenta le comunità dei sinti. Ma tale ipotesi non è andata a buon fine. Dunque ora il 46enne avrà due mesi di tempo per compiere un gesto o per presentare un’offerta risarcitoria che siano, in entrambi i casi, ritenuti congrui rispetto alla gravità delle frasi scritte su Facebook. Una volta concluse le 400 ore di lavoro socialmente utile (da stabilire ancora presso quale ente) e risarcito il 50enne della famiglia di origine sinti, che si è costituito parte civile nel processo al via tra due settimane, l’uomo potrebbe dunque chiudere questa vicenda, tra le prime nel nostro Paese a portare il mondo degli haters davanti a un giudice, sempre che al termine del processo le ipotesi della procura trovino conferme.