Valerio Binasco in teatro: "Nel mio Dulan prendono forme le nostre paure"

Stasera a Vignola, al teatro Ermanno Fabbri

Valerio Binasco_Photo_Luigi_De_Palma

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di Maria Silvia Cabri Valerio Binasco porta in scena stasera a Vignola, al teatro Ermanno Fabbri, ‘Dulan la Sposa’. Scritto per la radio nel 2001 da Melania Mazzucco e premiato al 53° Prix Italia come miglior radiodramma dell’anno, questo testo dalle forti tinte noir arriva sul palcoscenico interpretato dallo stesso Valerio Binasco, direttore artistico del Teatro Stabile di Torino (dal 2018), insieme a Mariangela Granelli e Cristina Parku. La storia è quella di una coppia sposata, tormentata dal fantasma di una ragazza annegata nella piscina del loro condominio. Dialogo dopo dialogo, una spessa spirale di domande prende corpo e si fanno strada dei terribili sospetti: qual è la vera indole dell’uomo? E chi era davvero quella ragazza, tradita dai propri sogni e piena di disincanti? Valerio, come nasce lo spettacolo? «Ho sentito il bisogno di occuparmi di un tema di attualità, realizzando un qualcosa che potesse mettere insieme tanti elementi. In primo luogo una riflessione ‘senza’ una riflessione, su razzismo, colonialismo sessuale, incapacità d’integrazione. Poi sul tema della violenza domestica, ed infine, e anzi soprattutto, una considerazione su un tema doloroso, quello in cui l’amore si ammala e diventa contrario alla vita, andando verso la morte. Sono purtroppo molti gli episodi di cronaca che nascono da un ‘amore impazzito’». Un teatro che quasi sconfina nella cronaca nera… «Si pone in essere un teatro contemporaneo che in realtà racconta la vita quando essa diventa cronaca nera. Il movente passionale, una triste definizione, che non è certo una giustificazione, pur rimanendo l’amore l’elemento che può condurre alla follia, portando a compiere atti che altrimenti non si porrebbero mai in essere». E così ha portato in scena ‘Dulan la Sposa’ «Una sorta di ring in cui gli attori/personaggi confrontano i loro lati oscuri. Ogni essere umano ha un luogo oscuro dentro che, come tale, richiede la predisposizione di un altro al bene, quando diventa l’unico luogo in cui ci si trova ad abitare. Quella posta in essere è una storia squallida, prova di motivazioni morali: ho cercato di restituire umanità a quelli che sono i mostri che di solito vediamo in televisione o leggiamo sul giornale, nel tentativo di vedere quello che c’era ‘prima’ del titolo di giornale, proprio nell’appartamento di fianco al nostro, abitato da persone normali». Come si è rapportato al testo di Melania Marzucco che è nato come radiodramma? «Ho cercato di rispettarlo al massimo, eliminando i dettagli più pesanti e lasciando quelli essenziali. La radio sollecita nell’ascoltatore un ruolo attivo, la sua facoltà d’immaginazione: per questo voglio che a teatro gli spettatori si focalizzino sulla recitazione in quanto tale, quasi verista. I tre quarti del lavoro li pone in essere il pubblico stesso, concentrato sulle persone, sui gesti, sulle azioni. Chi è il protagonista? «‘Lui’, governato dal buio dalla mente e di ciò che non si dice e si tiene dentro. Lui che pronuncia frasi spezzate, espressioni quasi banali, per nascondere la tempesta interiore».