{{IMG_SX}}Pesaro, 16 aprile 2009 - Ha dissetato la città per quasi venti secoli. Fino al 1910 era l’unica fonte di alimentazione idrica pesarese e successivamente, fino al 1985, ha contribuito all’erogazione d’acqua potabile. Ora l’antico acquedotto romano fornisce acqua non potabile usata principalmente per le docce delle spiagge di levante e per alcuni orti, ma resta una grande opera d’ingegneria idraulica, tra i pochi esempi ancora funzionanti e ben conservati, tanto che il Ministero degli Esteri ha chiesto al Comune di presentarlo con uno stand all’Expò sull’acqua di Saragozza insieme ai grandi acquedotti antichi di Roma e Napoli.

 

Per raccontare venti anni di studi, ricerche e ispezioni, e i possibili sviluppi futuri, l’ufficio Archeologia del Comune, in collaborazione con la Provincia, la Soprintendenza per i Beni archeologici, l’Università di Bologna e Marche Multiservizi, presenta domani pomeriggio la pubblicazione 'L’Aquedotto romano di Pesaro, tra passato e futuro', a cura di Maria Teresa di Luca. La presentazione del volumetto, che si svolgerà alle 16,30 a palazzo Montani Antaldi, vede tuttavia un evento nell’evento.

 

Oltre ai cinque autorevoli autori (Gabriele Baldelli, Pier Luigi Dall’Aglio, M. Teresa Di Luca, Giorgio Viggiani e Beniamino Tatali) , interverrà anche Pietro Laureano, considerato uno dei massimi esperti internazionali in materia, consulente dell’Unesco e dell’Unione europea, che relazionerà su 'L’acquedotto di Pesaro e le opere idriche sotterranee delle antiche civiltà: un modello di sostenibilità'. La sorgente principale dell’acquedotto si trova in prossimità di Novilara, alle pendici del Monte Fuga, a circa 133 metri sul livello del mare.

 

L’opera, sfruttando la naturale pendenza, convoglia l’acqua in un cunicolo, che discende tutta la valle dei Condotti fino a Muraglia, dove per scavalcare l’avvallamento del Genica i romani avevano costruito degli archi, poi abbattuti nell’800. Da qui si reimmetteva di nuovo in cunicolo alle pendici di Monte Granaro, fino al serbatoio terminale (all’incorocio tra via Michelini Tocci e traversa M. Ardizio) da cui partiva la conduttura in piombo che portava l’acqua fino in piazza del Popolo.

 

Fino a Muraglia l’acquedotto è ancora funzionante, da strada Carloni viene inserito in una condotta nuova che porta l’acqua al litorale, con una portata di 5 litri al secondo. Ad eccezione del breve tratto in cui incontra il Genica, i circa 10 chilometri di conduttura corrono sotto terra, ad una profondità che varia dai 3,5 a 17 metri, drenando l’acqua contenuta nel terreno, che entra attraverso le feritoie aperte nelle pareti. Il tratto inutilizzato che da Muraglia costeggia il Colle Ardizio fino al centro storico è attualmente asciutto e minacciato dall’intensa urbanizzazione e dal degrado.

 

"Gli studi eseguiti ci permettono di affermare che risale all’età imperiale (o addirittura prima) — racconta Teresa Di Luca —. Lungo il percorso, la forma del cunicolo cambia continuamente. Si succedono tratti con volta alla cappuccina, a botte e trapezioidale, per una larghezza di circa 60 centimetri. Si tratta di un patrimonio che testimonia la grandezza dell’ingegneria romana. Sono venuti a vederlo dalla Francia e da molte parti d’Italia".

 

"Ora, insieme a Marche Multiservizi che lo ha in gestione, abbiamo predisposto un progetto di recupero e valorizzazione per restituirlo alla fruizione controllata della città. Il quaderno rappresenta la prima tappa di questo impegno". "L’acquedotto romano è un vero monumento cittadino — afferma l’assessore alla Cultura Luca Bartolucci —. Ha approvvigionato acqua per quasi duemila anni e la straordinarietà è che è ancora funzionante. Questo ci responsabilizza a conservarlo per le generazioni future".

 

"Il nostro sogno è di poterlo rendere visitabile con visite guidate almeno in un tratto — afferma l’assessore Michele Gambini, grande appassionato della struttura — . Ma questo è il futuro. Per ora abbiamo creato un gruppo di lavoro che comprende rappresentanti della Polizia urbana, di Marche Multiservizi e del Servizio acque pubbliche della Provincia per accertare e sanare eventuali abusi che sembrano minacciare l’opera".