"Botte e lavoro". Ragazza cinese accusa il padre

Quindicenne denuncia il genitore per maltrattamenti. "Mi costringeva a trascurare la scuola per stare nel negozio. Se mi ribellavo erano guai"

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di Elisabetta Rossi

Voleva solo poter studiare e leggere. Essere libera di vivere, crescere e sognare come le ragazzine della sua età. Quelle italiane. E invece per lei, 15enne di origini cinesi, nata a Cesena e residente a Fano, prima di tutto doveva esserci il lavoro. Anche prima dei compiti per la scuola. Il lavoro tra gli scaffali del mercatone del padre, 50enne arrivato anni fa in Italia, come tanti suoi connazionali, dalla Repubblica popolare cinese. Un padre che ora si trova a processo a Pesaro con l’accusa di maltrattamenti sulla figlia. E’ stata lei a denunciarlo a maggio di tre anni fa. A trovare la forza di ribellarsi e di fuggire quando aveva solo 15 anni (oggi ne ha 17 e a settembre diventerà maggiorenne) spinta dall’amore per la scuola, l’unica opportunità per lei di una vita diversa, nuova, smarcata da una mentalità che la faceva sentire oppressa, umiliata, sminuita, non solo come figlia ma anche come donna.

E’ uno spaccato inquietante quello che emerge dal racconto della ragazzina che oggi si trova in una casa protetta. Lei poteva frequentare la scuola, ma poi il pomeriggio doveva stare in negozio per ore perchè così avrebbe ordinato il padre, "costringendola - come riporta anche l’imputazione della Procura - a estenuanti turni di lavoro, obbligandola a occuparsi di mansioni pesanti all’interno del magazzino, ma anche alla sistemazione delle merce, impedendole quindi di dedicare tempo agli impegni scolastici, anche di sera". Dopo il lavoro al mercatone, una volta a casa per la giovane cominciavano le incombenze domestiche. Per questo non restava tempo da dedicare allo studio. E a lezione arrivava spesso senza aver svolto i compiti assegnati. Un fatto testimoniato dalle stesse insegnanti. Le quali hanno detto di non aver mai visto i genitori neppure per un colloquio.

La 15enne ha anche raccontato delle offese che le avrebbe riservato il padre. "Sei una buona a nulla, una poco di buono" e ancora: "Da grande finirai per strada, nessuno ti vorrà al lavoro". Ma le violenze verbali sarebbero state accompagnate anche da quelle fisiche. Secondo la giovane, quel padre-padrone avrebbe alzato le mani per punirla anche dei più piccoli errori. Ha detto che l’avrebbe colpita con calci, pugni, pizzicotti e "noccate" sulla testa. Tanto da provocarle ematomi e anche frequenti emicranie. Costringendola inoltre a vivere in un continuo stato di prostrazione e paura. Fino al giorno in cui ha trovato il coraggio di dire basta. A 14 anni scatta la prima fuga da casa. Va da amici. Ma poi è costretta a ritornare in famiglia. Chiama il Telefono azzurro. Ma tempo qualche mese scappa di nuovo. Col treno, da Fano fino a Forlì dove si presenta dai carabinieri e denuncia il padre. Trova accoglienza in una comunità protetta. Il caso arriva a processo. Il suo difensore, il legale Mauro Mengucci, ha chiesto la revoca della patria potestà. Lei voleva fare la stagista in una biblioteca, ma lui non voleva. Così ha deciso di tagliare anche il potere legale di quell’uomo su di lei. Ieri sono state ascoltate la sorella e la mamma. La prima ha riferito di quelle "noccate" e ha detto che è normale che non si vada ai colloqui a scuola: ci si va solo se ci sono dei problemi. La mamma ha, a fatica per la lingua, espresso invece sostegno al marito.