E’ Mister Dixon che ci traduce nel mondo

A Cagli vive da oltre tre decenni il londinese che fa conoscere la nostra letteratura al popolo anglosassone. Non solo: ha creato un’oasi unica

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Tutti parlano dei borghi, ne magnificano le virtù, ne caldeggiano il ripopolamento, ne istagrammano le bellezze. Patinarsi dentro un selfie o otherside (parliamo di Metaverso..), insomma farsi fare una foto che appiani le rughe del volto ma accentui le crepe del ponte romano o del muricciolo nello sfondo dove languire assorti e satolli, possono farlo tutti. E’ certo che un pollice alzato, un “ètantaroba“ arriveranno dagli affezionati delle mille bolle social in cui si dispiega l’esistenza e l’autostima di molti.

Ma andare a vivere stabilmente in luoghi ameni e davvero scollegati è un altro paio di maniche. Richard Dixon, londinese, nell’89 ha deciso di lasciare la metropoli per la campagna di Cagli. "Siamo a sei chilometri da Cagli per l’esattezza" puntualizza con piacevole accento british. Se permane la cadenza inglese la lingua italiana è stata addomesticata da Dixon che oltre al suo Paese ha lasciato il lavoro di legale per quello di traduttore di narrativa e poesia, dalla nostra lingua alla sua. Da quando vive nelle Marche si occupa di far conoscere agli anglofoni Carlo Emilio Gadda, non intellegibile del tutto neanche ai madrelingua italiani, Umberto Eco, e diversi illustri marchigiani. Gente del calibro di Giacomo Leopardi, Paolo Volponi, Eugenio De Signoribus.

"Di Leopardi e Volponi non ho tradotto poesie – spiega Richard Dixon – ma la lirica si sente anche nella prosa: in particolare in quella di Volponi". Lo scrittore di Urbino sta molto a cuore al traduttore inglese "per alcuni aspetti è più complicato di Gadda. La sua è una lingua molto legata al territorio, a usi, consuetudini, a un tessuto sociale e geografico che ora sento molto mio".

Dixon ha tradotto “Il lanciatore di Giavellotto” e ora è alle prese con “La macchina mondiale” dove ritrova i luoghi che ha scelto di abitare 33 anni fa. Finivano gli anni Ottanta e il mondo era un’altra cosa. Cadeva il muro, le reti erano lontane, olandesi e inglesi scoprivano il Marcheshire.

Dopo neanche dieci anni dal trasferimento marchigiano, Richard e Peter, suo compagno nel mentre diventato marito, decidono di aprire un’attività turistica e recuperano completamente un complesso rurale settecentesco a San Cristoforo. E’ composto di due unità: Casetta, cottage con giardino e terrazza, e Pieve, sistemazione ricavata da una ex cappella. La struttura è stata selezionata dalla ricercata guida inglese Alistair Sawday. Nel sito della casa vacanze, che è Peter a gestire soprattutto ci spiega Richard, colpiscono due elementi: la segnalazione della disponibilità wireless indispensabile a restare al mondo e lavorare, un verbo che torna nella conversazione: "ci siamo trasferiti qui a vivere e lavorare". La campagna di Cagli non è un buen retiro da silver age. Dixon è arrivato qui trentenne nel pieno della laboriosità ma deciso di dare alla sua esistenza un altro passo.

Altro aspetto interessante della promozione della casa vacanze di San Cristoforo è la precisazione in home e gli svantaggi che essa presenta: nessuna piscina; nessun trasporto pubblico; senza pasti serviti, niente TV, che oggi poi è soppiantata da altri schermi e molti device. Verrebbe da scomodare un altro poeta: questo possiamo dirti oggi, quello che non siamo, quello che non vogliamo. E quello che Richard e Peter vogliono, sono ospiti in grado di apprezzare quanto il territorio offre e di andarselo a conquistare, farsi un bagno a Rio Vitoschio più che tra le mattonelle azzurre della swimming pool, raggiungere i paesi dove andare a mangiare o fare spesa. Profilo turistico che si incarna, in quello di americani, inglesi, olandesi non giovanissimi, con qualche disponibilità economica.

"Un turismo che nel ’97 era ancora poco praticato. Oggi è diverso, mi sembra che la gente sia più stanca, abbia più bisogno di tranquillità e silenzio, di fare vacanza in località frequentate da gente del posto. Venezia e Roma sono diventate faticose e care; anche Bologna sta diventando una alternativa". "Gli amici italiani erano molto scettici rispetto al successo che la nostra attività turistica avrebbe potuto avere – racconta Richard – chi vive in un luogo a volte è un po’ miope rispetto al suo potenziale. Invece Casetta e Pieve sono decollate, e si sono riempite di clienti affezionati che tornano. Anche per questa stagione abbiamo già molte prenotazioni anche da australiani".

Evviva il borgo marchigiano dunque, che in qualche misura è stato dannazione del figlio illustre che lo ha chiamato selvaggio. Recanati in un sabato di giugno è, per fortuna, affollata, casa Leopardi piena, la piazza delle rimembranze piene, i tavoli dei bar affollati. "Leopardi ha amato il borgo come il luogo dell’infanzia, poi in adolescenza le cose sono cambiate, certo come noto la famiglia claustrofobica ci ha messo del suo". Un isolamento concentrico: paese e casa. Aggiunge Dixon: "Ma dentro la casa c’era un luogo che riscattava tutto il resto: la biblioteca". Anche Volponi si diceva, da Urbino, palazzo in forma di città, è stato suo malgrado inseparabile. Scrive "Le mura di Urbino, la nemica figura che mi resta, l’immagine di Urbino che io non posso fuggire… Questo dovrei lasciare se io avessi l’ardire di lasciare le mie care piaghe guarire". Ma di guarire non sempre si ha voglia, e talvolta, nei borghi marchigiani, neanche ospedali a tiro, ma questa è un’altra storia. E su De Signoribus: "Si tratta davvero di un grande autore, tradurre lui e la poesia in genere è complesso: in questo tipo di lavoro è più facile che il traduttore diventi un traditore. La cosa più importante è la musica, rendere un ritmo, bisogna sparire e lasciare una colonna sonora. Creare l’illusione nel lettore di stare leggendo i versi nella lingua originale". Nel futuro Dixon vorrebbe occuparsi ancora di urbinati, di aspetti meno noti della corte dei Duchi "che ha delle figure incredibili".

Olivia Silver