Guido Porcellini, 30 anni di squalifica per il caso doping

Ma il procuratore sportivo mira ancora a Filippo Magnini. "Il campione non voleva arrendersi al passare del tempo. Voleva sentirsi ancora superuomo"

Guido Porcellini e Filippo Magnini

Guido Porcellini e Filippo Magnini

Pesaro, 3 luglio 2018 - Lo vogliono fuori da tutto per 30 anni. E gli è andata bene. Se fosse stato per la procura sportiva doveva restare lontano da qualunque manifestazione sportiva per tutta la vita. In concreto, se lo riconoscono all’ingresso di uno stadio di calcio oppure ad un torneo di bocce, rischia di essere cacciato. E’ quello che sta accadendo a Guido Porcellini, 49 anni, pesarese, medico nutrizionista di tanti sportivi a cominciare da Filippo Magnini, che ieri è stato condannato dal tribunale nazionale antidoping a questa pena che si concluderà nel 2048, quando Porcellini sarà vicino agli ottant’anni. Non è affatto certo che appellerà.

Dice l’avvocato difensore Francesco Manetti: «Mi ha detto che è stanco di tutta questa baraonda e che se fosse per lui lascerebbe perdere tutto. Ma lo convincerò a ricorrere perché abbiamo assistito ad un processo inquietante. Dopo il rigetto da parte del tribunale della mia richiesta di acquisire le trascrizioni delle intercettazioni, l’ottimo procuratore Laviani, che ha sostenuto l’accusa, ha dichiarato di far parte di un tribunale morale, quindi non vincolato alle regole della giustizia. E’ stata una dichiarazione che mi ha fatto rabbrividire, perché per loro è prova tutto quello che prova non è. Ma per venti minuti il procuratore ha parlato di Magnini, il convitato di pietra, definendolo un atleta che non voleva arrendersi al passare del tempo volendo sentirsi ancora un superuomo. Aggiungendo che Magnini aveva paura della sua compagna di allora Federica Pellegrini, che sicuramente avrebbe disapprovato il suo comportamento». «A quel punto – ricorda l’avvocato Manetti – il dottor Porcellini ha rivelato al tribunale che lui stesso l’ha curata per un terribile mal di schiena prescrivendole integratori omeopatici mentre i medici della Federazione volevano curarla con del cortisone».

Aggiunge l’avvocato: «A Porcellini contestano di aver venduto prodotti dopanti ad una serie di atleti ma non sanno a chi. Il nuotatore Michele Santucci è stato definito prestanome e cavia di Magnini che doveva provare i prodotti. Poi lo stesso procuratore Laviani ha detto che il Nas ha sbagliato ad intervenire dieci minuti prima del dovuto, ossia prima che Porcellini iniettasse un prodotto a Magnini. Se fossero intervenuti dieci minuti dopo, sarebbe stato tutto più chiaro. Ma è una follia pensare così. C’è stato un tentativo netto di scindere Magnini dalla Pellegrini, ma anche lei è stata cliente di Porcellini. Porcellini anche di fronte al tribunale sportivo ha ricordato che è un medico antidoping. Dico con sincerità che abbiamo assistito ad un giudizio sommario. E credo che l’avvocato di Magnini dovrà fare un gran lavoro per fronteggiare la richiesta di 8 anni di inibizione»