Gradara, per Fano Jazz arriva la Pacheco

Concerto anteprima per la rassegna con una travolgente interprete cubana che abbina la bellezza a un grande talento

Marialy Pacheco (Foto di Jean-Baptiste Millot)

Marialy Pacheco (Foto di Jean-Baptiste Millot)

Gradara (Pesaro e Urbino), 13 luglio 2018 - Toccherà alla nuova stella della musica cubana Marialy Pacheco, aprire la 26ª edizione di Fano Jazz by the Sea per il primo dei due concerti anteprima del festival in programma venerdì 13 luglio (ore 21,15), al Teatro dell’aria di Gradara. Accanto alla talentuosa pianista ci sarà il trombettista tedesco Joo Kraus. Un concerto che precede l’esibizione di domani sera del Trio Tingvall sempre nella suggestiva location a ridosso delle mura del Borgo più bello d’Italia. A parlarci della sua avventura artistica è la stessa Marialy Pacheco.

Quando ha scoperto il pianoforte?

«Da quando sono nata. Mia madre è direttrice di un coro, mio padre un cantante d’opera e mia zia una chitarrista e cantante. Inizialmente volevo fare la ballerina poi mio padre a 7 anni mi portò a un concerto classico di piano e lì rimasi stregata».

E quando il jazz?

«A 18 anni. Avevo appena finito i miei studi di pianoforte elementare ed ero appena stata selezionata dalla National School of Arts de L’Avana per continuare altri 4 anni nello studio del piano classico. Ho sentito lì per la prima volta il jazz ma, il mio punto di svolta personale è stato, quando mia zia mi ha regalato l’Album Köln Konzert di Keith Jarrett un disco che ha cambiato letteralmente la mia vita, il mio modo di pensare alla musica e di suonare il pianoforte e mi ha aperto le porte al jazz».

E’ vero che le piace anche la musica classica?

«Certo. Ho studiato per 13 anni classica e devo a questa educazione il mio singolare approccio alla musica jazz. Adoro Bach, Brahms, Stravinsky, Tchaikovsky, Mozart, Debussy… è una lunga lista».

Si è parlato spesso di una vera e propria scuola cubana di pianisti jazz. Lei sente di farne parte in qualche modo?

«Non ci sono scuole di jazz a Cuba ma, effettivamente i pianisti jazz cubani hanno un modo unico di suonare, sia quelli che appartengono alla vecchia generazione sia quelli considerati della nuova generazione. Non solo mi sento parte di tutto questo ma, ne vado fiera. Abbiamo decisamente un immenso patrimonio di pianisti jazz cubani che non può e non deve essere scordato».

Quanto c’è di Cuba e dei Caraibi nella sua musica?

«Nella mia musica si fondono le mie radici afrocubane con la musica classica, con il jazz contemporaneo e con tutti i generi musicali che adoro. Non penso molto a cosa sarà quando compongo, succede e basta».

Quali sono i jazzisti che l’hanno influenzata di più?

«Keith Jarrett, Gonzalo Rubalcaba, Yellow Jackets, Emiliano Salvador, Pat Metheny, Antonio Carlos Jobim, ma potrei continuare all’infinito».

Essere una bella donna l’ha aiutata nella carriera musicale?

«Ho dovuto lottare ogni giorno con i cliché e gli stereotipi di questo ambiente: sono donna, latina e carina e non è decisamente una buona combinazione. Quando la gente mi incontra, pensa che io sia una cantante, una modella, una ballerina. Solo quando mi vedono suonare il pianoforte realizzano veramente chi sono, che c’è molto di più dietro alla “bellezza” estetica. E ancora una volta mi chiedo: perché ci si soffermi ancora sulla bellezza esteriore».

A quale pianista jazz sente di essere più affine?

«Keith Jarrett».