Berloni verso la Lombardia, maxi offerta per il marchio

L’asta avverrà il 6 ottobre, il prezzo fissato in 2 milioni e 100mila euro Quel che resta, magazzino e macchinari, verrà venduto successivamente.

Berloni verso la Lombardia  Maxi offerta per il marchio

Berloni verso la Lombardia Maxi offerta per il marchio

Si va per chiudere una delle telenovole più brutte degli ultimi anni. Il fallimento della Berloni Group. Una storia fatta di debiti, di operai non pagati, di licenziamenti, di miliardari con gli occhi a mandorla che litigavano tra di loro. Si va per mettere la parola fine su questa storia che affonda nel ‘rinascimento industriale’ della città.

Nei giorni scorsi si è infatti presentato davanti al curatore, il commercialista Leonardo Crescentini, un gruppo industriale forte anche sotto il profilo della commercializzazione di mobili arredo, chiedendo solo l’acquisizione del marchio. "Ci ha fatto una offerta di 2 milioni e 100mila euro e dopo aver fatto tutte le verifiche del caso e cioè che siamo di fronte ad un’azienda solida, sono andato dal giudice delegato e si è concordato di mettere il marchio Berloni all’asta, asta che si svolgerà il prossimo 6 ottobre e si potranno fare offerte sia in presenza che per via telematica e solamente a salire. E non è detto che ci possano essere altre offerte perché il marchio Berloni è nelle memoria della gente".

Se si pensa che per un caso analogo e cioè l’azienda Del Tongo, sponsor anche di squadre ciclistiche, il ‘logo’ della fabbrica era stato venduto all’asta per 60mila euro. Storia questa che la dice lunga sulla grande popolarità di questo brand cittadino che è passato, quando Pippo Baudo era socio delle terme di Carignano, anche attraverso il festival di San Remo, oltre ad aver sponsorizzato il basket di Torino.

Un classico colpo di fulmine questa offerta in zona Cesarini, perché il solo marchio Berloni è stato valutato più di tutto quello che rimaneva di questa storica azienda di Chiusa di Ginestreto: lo scorso anno tutto il pacchetto che comprendeva oltre al marchio, anche quello che restava del magazzino ed anche qualche macchinario, era stato messo in vendita per due milioni di euro, messi poi sul tavolo da parte del miliardario taiwanese Wuang, il quale ora sta cercando di recuperare quella cifra che aveva versato a suo tempo. E la storia del taiwanese titolare del gruppo americano "Thermos", si è conclusa davanti alla corte d’Appello di Ancona dove aveva fatto ricorso contro il rigetto del concordato in continuità e quindi il fallimento. I magistrati anconetani hanno in pratica confermato la sentenza dei colleghi pesaresi "perché il concordato in continuità non poteva essere accettato visto che la fabbrica era chiusa e non produceva". Si chiude una vicenda con un po’ di veleno in coda perché al 99 per cento il marchio andrà via da Pesaro e verrà legato ad una produzione di cucine di un’azienda che ha base tra Lombardia e il Veneto. Un po’ come un altro storico marchio, la Febal, finito a San Marino.

m.g