Gli agricoltori danneggiati: "Alberi franati nel Savio. Dal 2015 sono ancora lì"

La testimonianza dei frontisti sul disastro ambientale, erosi strade e frutteti "Al posto dell’argine c’è un dirupo". Senza risposta le segnalazioni alla Regione .

Gli agricoltori danneggiati: "Alberi franati nel Savio. Dal 2015 sono ancora lì"

Gli agricoltori danneggiati: "Alberi franati nel Savio. Dal 2015 sono ancora lì"

Nell’ambito del processo sulle frane lungo il fiume Savio, connesso secondo l’accusa alla costruzione nel 2015 della centrale idroelettrica di Mensa Matellica, ieri si è svolta un’importante udienza focalizzata sui frontisti. Questi ultimi, rappresentati dai titolari di aziende agricole con terreni affacciati sul fiume, sono stati danneggiati dagli smottamenti innescati, a loro dire, dall’impianto e, in particolare, dal repentino innalzamento (anche di 2 metri) del livello dell’acqua che lo stesso richiedeva per il suo funzionamento, peraltro in un contesto di terreni fragili in quanto sabbiosi e limosi.

Una rilevante novità emersa riguarda la presenza di alberi e vegetazione nel letto del fiume, franati e poi rimasti al centro del corso d’acqua fin dal 2015. Si è appreso che, eccezion fatta per il materiale più leggero trasportato a valle, la vegetazione è ancora lì, a indicare le conseguenze a lungo termine della costruzione dell’impianto e il fatto che da allora non siano stati più fatti interventi di pulizia. Un frontista ha testimoniato di aver segnalato alla Regione un’anomalia nel gennaio 2016, quando una porzione di bosco era finita nel fiume, notando la formazione di una voragine. Un altro proprietario ha documentato il danno attraverso foto satellitari, rivelando come il crollo del terreno in acqua abbia formato un’isola con al centro arbusti e piante, inclusa una coltivazione di ciliegi. "Mezzo secolo fa il fiume era tranquillo, c’erano state piene e sospensione degli attingimenti nei periodi di siccità. Da 2015 non riesco più ad avvicinarmi alla sponda per il rischio di precipitare. Nel fiume, inoltre, sono finiti alberi che c’erano da quando ero bambino e nessuno li ha ancora rimossi".

In luogo dell’argine si è formata una scarpata verticale, pericolosa in quanto coperta dalla vegetazione e non visibile dal piano di campagna, che in certi casi arriva ad un’altezza di dieci metri. L’alveo del Savio, oggi, è più largo di una ventina di metri. I privati hanno sostenuto che tali eventi franosi non si erano mai verificati in passato e adesso vedono i propri terreni erosi dal fiume su fronti variabili fino a 100 metri di lunghezza e una profondità di 20. Questo ha comportato la perdita dell’utilizzo di strade di servizio e di interi filari di frutteti. Ancora oggi il terreno sarebbe in movimento e non stabile. A smuoverlo avrebbe contribuito l’alluvione del maggio 2023 e si temono altri smottamenti in caso di nuovi eventi di piena. Finora le segnalazioni alla Regione, è stato detto, non hanno trovato risposta.

Le domande della difesa sono state volte a dimostrare che i crolli, almeno in alcune porzioni, potrebbero essere attribuiti al taglio di alberi. Tuttavia, quest’ultimo è stato imputato ad Enel e non ai privati. Allo stesso modo, è stata additata la presenza di serre, ma la regolarità di tali strutture è stata certificata dagli organismi competenti. Gli imprenditori agricoli hanno escluso che, prima della costruzione dell’impianto, vi fossero stati eventi franosi di rilievo.

Il processo continua a fare luce sulle complesse dinamiche legate alla costruzione della centrale idroelettrica, mentre i frontisti cercano giustizia per i danni subiti dai loro terreni, sebbene in molti non li abbiano stimati. Il processo vede otto imputati, tra titolari e progettisti della centrale, insieme ad alcuni responsabili dell’ufficio di protezione civile – ex servizio tecnico di bacino – della Regione Emilia Romagna. Le accuse, a vario titolo, sono di frana e disastro colposo, e per un dipendente dell’ente delegato a seguire l’istruttoria, abuso d’ufficio e rivelazione di segreti d’ufficio.

La stessa Regione stessa non è parte civile, né in questo né nel processo correlato al crollo della diga di San Bartolo sul fiume Ronco, anch’esso si ipotizza causato dalla costruzione di un’altra centrale idroelettrica, riconducibile allo stesso imprenditore. Quindi l’ente pubblico ha rinunciato a richiedere un risarcimento dei danni.

Lorenzo Priviato