Inchiesta Tampieri, sequestro annullato

Il tribunale ha accolto il ricorso della difesa, restituendo tutto il materiale alla spa faentina. Il presidente: "Eravamo del tutto tranquilli"

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C’è la procura che contesta un riciclaggio di danaro in relazione ad alcuni investimenti fatti in Senegal. E c’è la difesa per la quale non si era affatto trattato di trasferimento di capitali all’estero ma di investimenti reali con tanto di bonifiche di terreni e costruzioni di canali di irrigazione, di dighe e di altre opere necessarie a rendere i luoghi adatti. Protagonista del caso giudiziario, è il colosso faentino ’Tampieri Financial Group spa’ holding del gruppo Tampieri.

L’ultimo atto dell’articolata vicenda, è quello uscito dal riesame discusso martedì mattina: il tribunale di Ravenna, in composizione collegiale e presieduto dal giudice Cecilia Calandra, ha accolto il ricorso della difesa (avvocato Giovanni Scudellari) "annullando il provvedimento impugnato" e "disponendo la restituzione di quanto" sequestrato il 13 luglio scorso dalla guardia di Finanza giunta alla sede di via Granarolo su delega del pm Monica Gargiulo. E cioè documentazione cartacea e supporti informatici: per l’accusa di potenziale valenza probatoria. A questo punto i giudici entro 45 giorni depositeranno le motivazioni per spiegare la loro decisione: e da quelle si capirà se la scelta è nata da una semplice questione formale o se invece il tribunale ritiene che non vi possano essere i presupposti per le contestazioni mosse.

"Eravamo assolutamente tranquilli quando, oltre 10 anni fa, ci fu l’interessamento dei media - ha detto Andrea Tampieri, indagato in qualità di presidente del cda e già destinatario di una richiesta di proroga indagine -. E siamo ancora più sereni oggi, convinti che l’autorità giudiziaria possa, in tempi brevi, confermare la correttezza e la trasparenza del nostro operato".

Il riferimento è alla prima inchiesta giornalistica realizzata sulla vicenda da Report nel 2011. Altre testate si erano poi occupate del caso. La prima informativa dell’Agenzia delle Entrate, è datata 20 settembre 2020. In quella si può leggere che il 26 luglio esattamente di 10 anni fa, la Tampieri Financial Group aveva costituito una società di diritto senegalese, la Senhuille sa con sede a Dakar, per diventarne socio al 51%. L’iniziale contratto di affitto per 20 mila ettari di terreno di una comunità rurale senegalese, era per coltivare patata dolce da biocarburante per il mercato europeo. Il progetto era poi mutato nella produzione di semi di girasole, di arachidi e mangimi da cui, tra le altre cose, ottenere olio a beneficio del mercato italiano.

Un progetto segnato da "tensioni e conflitti" con dispute sindacali e uomini d’affari stranieri che sembravano usciti da un film giallo. Ma la materia approdata sui tavoli della magistratura ravennate, ha iniziato ad animarsi da una verifica fiscale sulla spa scattata nel settembre 2019 e relativa all’anno di imposta 2016. Le ipotesi conclusive dell’Agenzia delle Entrare andavano verso una precisa direzione: ovvero che la società senegalese fosse stata usata dalla spa manfreda "per fare defluire i capitali verso il Senegal e poi verso le Cayman" dove risiedeva l’aspirante contraente delle quote. In particolare un aumento di capitale a favore della Senhuille sa realizzato nel 2016, non sarebbe stato "supportato da valide ragioni economiche". La stessa Agenzia aveva però rilevato come, nonostante l’uso di tutti gli strumenti a disposizione", non fosse "riuscita a raccogliere elementi probatori a supporto di tali ipotesi". In una nuova informativa, questa volta della Finanza datata 28 giugno scorso, si delineava una situazione di "non linearità" dell’operazione definita "a perdere". Ovvero tra il 2012 e il 2016 alla società senegalese sarebbero stati trasferiti ben 50 milioni di euro: ma la cessione era avvenuta per 7.

Nel 2016 c’era stato quindi un aumento di capitale, definito "inspiegabile" per oltre 27 milioni di euro. Ed è così che si è giunti al decreto di sequestro ora annullato. Tre i motivi portati dalla difesa a partire da lamentati vizi sulle motivazioni. Nel terzo invece è stato chiesto l’annullamento in quanto si trattava di sequestro "meramente esplorativo". E cioè gli inquirenti avrebbero proceduto solo per cercare prove per gli eventuali reati presupposti (falso in bilancio o appropriazione indebita). Per il resto, ci si sarebbe basati solo su "informazioni tratte da inchieste giornalistiche" senza però mai superare "la soglia del mero sospetto".

Andrea Colombari