FILIPPO DONATI
Cronaca

La carica dei quaranta candidati. Quattro i potenziali consiglieri eletti

Nel 2020 scattarono tre seggi, uno in meno rispetto al 2014, quando gli equilibri politici erano diversi. Il Pd punta su pesi massimi quali Cameliani e l’ex sindaco Proni, Fratelli d’Italia su Alberto Ferrero.

Nel 2020 scattarono tre seggi, uno in meno rispetto al 2014, quando gli equilibri politici erano diversi. Il Pd punta su pesi massimi quali Cameliani e l’ex sindaco Proni, Fratelli d’Italia su Alberto Ferrero.

Nel 2020 scattarono tre seggi, uno in meno rispetto al 2014, quando gli equilibri politici erano diversi. Il Pd punta su pesi massimi quali Cameliani e l’ex sindaco Proni, Fratelli d’Italia su Alberto Ferrero.

Quaranta candidati per tre poltrone, o forse quattro. La particolarità della legge elettorale per le elezioni regionali è forse proprio questa: l’incognita circa il numero di eletti per ciascuna provincia, figlia del sistema dei ‘resti’ che in teoria rende possibile l’elezione di quattro consiglieri. I 308mila elettori della provincia di Ravenna chiamati domani e lunedì a eleggere il presidente e il consiglio regionale molto probabilmente finiranno tuttavia con l’essere rappresentati in assemblea regionale da tre consiglieri, come accaduto dopo le elezioni del 2020. Tutti i partiti ritengono improbabile che si ripetano le condizioni che nel 2014 consentirono di approdare in Regione al leghista Andrea Liverani e ai dem Mirco Bagnari, Manuela Rontini e Gianni Bessi. Perché accada, come successe allora al Pd, occorrerebbe infatti cannibalizzare i voti all’interno della coalizione (dieci anni fa quella dei dem era quasi un monocolore). Una circostanza oggi improbabile, considerando che i due partiti dati per favoriti – il Pd nella coalizione di centrosinistra, Fratelli d’Italia in quella di centrodestra – sono alleati di varie liste accreditate di buone performance: a sinistra il Movimento 5 Stelle e Alleanza Verdi Sinistra, a destra la Lega e Forza Italia.

I due candidati principali – il sindaco di Ravenna Michele de Pascale per il centrosinistra, la dirigente scolastica ed ex-sottosegretaria Elena Ugolini per il centrodestra, entrambi romagnoli (una prima assoluta) – hanno scelto di circondarsi di pesi massimi in quelle che sono le realtà partitiche locali. Il Pd ha optato per due uomini delle istituzioni – i presidenti dei consigli comunali di Ravenna e Faenza, e cioè Massimo Cameliani e Niccolò Bosi – e per l’ex-sindaca di Bagnacavallo Eleonora Proni: ad accomunare i tre (la quarta candidata è la ravennate Petia Di Lorenzo), esponenti rispettivamente dell’area cattolica, laica e della sinistra del partito, è la loro natura di abilissimi ‘cacciatori di preferenze’. Fratelli d’Italia ha risposto con lo stato maggiore del partito, puntando sia sul segretario provinciale ravennate Alberto Ferrero che sul capogruppo faentino in consiglio comunale Stefano Bertozzi, forte di una militanza in Alleanza Nazionale cominciata a metà anni Novanta, dando così vita a una concorrenza interna ad alcuni parsa inusuale, ma volta probabilmente a capitalizzare quanti più voti possibile.

La medesima scelta l’ha fatta il Movimento 5 Stelle, che ha buttato nella mischia gli assessori ravennate e faentino Igor Gallonetto e Massimo Bosi. E’ però sul fronte civico che de Pascale ha estratto dal cilindro i profili più sorprendenti: nella lista ‘Civici’ compaiono infatti l’ex-sindaco di Bagnara Riccardo Francone (allora vicino al centrodestra) e l’ex-candidata sindaca a Ravenna Michele Guerra, nel 2016 alla guida di CambieRà, creatura vicina alla galassia pentastellata, allora in polemica perenne con il Pd e lontana anni luce dal ‘campo largo’ che avrebbe preso corpo quasi un decennio dopo. Una folgorazione, quella di Guerra per de Pascale, che il centrodestra non ha mancato di criticare aspramente; per contrappasso, proprio la civica ‘Ugolini Presidente’ è stata subissata di rimproveri da sinistra, non per una questione di candidature, ma per l’errore macroscopico compiuto nella presentazione del simbolo, in cui compare l’Emilia Romagna priva della Valmarecchia, diventata riminese – provincia d’origine proprio della candidata Ugolini – diciassette anni fa. Una gaffe che, a simboli depositati, era ormai irrimediabile.

Due volti noti della politica locale guidano anche il listino di ‘Futura’, cartello elettorale sottoscritto dal Pri e da Azione insieme a +Europa e al Psi. Proprio in quota Pri si è candidato il vicesindaco ravennate Eugenio Fusignani, mentre Azione è rappresentata dalla consigliera comunale Chiara Francesconi. Rispetto al passato, potrebbe mutare la rappresentanza ravennate in Regione: se a sinistra il partito favorito nel ruolo di più votato rimane il Pd, a destra è dato per scontato il sorpasso di Fratelli d’Italia sulla Lega (orfana del consigliere Andrea Liverani, non ricandidatosi; in corsa il cervese Enea Puntiroli), la quale dovrà guardarsi anche da Forza Italia. Gli azzurri, per massimizzare i consensi, hanno puntato sul segretario ravennate Fabrizio Dore, capolista, e su due recenti candidate sindache, Diletta Principale e Antonella Brini, rispettivamente bagnacavallese e massese. Come in tutte le tornate elettorali, anche le regionali hanno visto una corsa a lanciare nell’arena alcuni ‘vip’ locali: fra i cui candidati di Alleanza Verdi e Sinistra figura infatti Caterina Capelli, anima del Festival dell’aquilone di Cervia; l’alleanza della Lega con il Popolo della Famiglia ha portato in dote ai salviniani Mirko De Carli, dirigente nazionale del piccolo partito conservatore, noto anche per le frequenti e turbolente ospitate alla trasmissione radio ‘La Zanzara’. Mentre i partiti che sostengono i candidati sono undici, le liste fra cui sarà possibile esprimere preferenze sono solo dieci: a differenza di quanto riuscito a Federico Serra e alla sua realtà di sinistra ‘Emilia Romagna per la pace, l’ambiente e il lavoro’, la lista ‘Lealtà Coerenza Verità’ non è stata capace di raggiungere il numero di firme necessario in provincia.

I ravennati vedranno pertanto sulla scheda il solo nome del candidato presidente Luca Teodori. I quaranta candidati consiglieri sono quasi tutti, a parte sette di loro, nati in provincia di Ravenna, o comunque in Emilia Romagna. Appena cinque sono originari di un’altra regione (la più ‘rappresentata’ è la Liguria), mentre solo la dem Petia Di Lorenzo e la leghista Elena Marin sono nate all’estero, rispettivamente in Bulgaria e in Libia. Un segno dell’Italia che cambia risiede nella possibilità per Michele de Pascale, in caso di elezione, di diventare il primo presidente di una regione del nord dal cognome spiccatamente meridionale: gli antenati paterni arrivarono infatti a Cervia dalla provincia di Salerno.