REDAZIONE RAVENNA

La ’Ndrangheta nei panifici. Condanne per quasi cento anni: "Riconosciuto il metodo mafioso"

La sentenza dopo 80 ore di camera di consiglio, 600mila euro di risarcimento immediato alle parti civili, tra cui i comuni di Cervia e Bagnacavallo, sindacati e un ex portiere di serie A.

La sentenza dopo 80 ore di camera di consiglio, 600mila euro di risarcimento immediato alle parti civili, tra cui i comuni di Cervia e Bagnacavallo, sindacati e un ex portiere di serie A.

La sentenza dopo 80 ore di camera di consiglio, 600mila euro di risarcimento immediato alle parti civili, tra cui i comuni di Cervia e Bagnacavallo, sindacati e un ex portiere di serie A.

Tre assoluzioni e, soprattutto, 21 condanne per complessivi 98 anni, rispetto ai 110 chiesti dalla Procura antimafia, e più di 700mila euro tra risarcimenti di danni e spese legali alle parti civili. Questo, dopo 80 ore di camera di consiglio, un record a Ravenna, l’epilogo del processo di primo grado Radici. L’accusa del Pm della Dda Marco Forte riguardava, tra l’altro, il controllo di panifici della riviera, gestiti con modalità mafiose per riciclare denaro della criminalità organizzata. La sentenza del tribunale collegiale (presidente Cecilia Calandra, a latere i giudici Federica Lipovscek e Cristiano Coiro) ha mantenuto l’aggravante del metodo mafioso per le figure di spicco, mentre è caduto per alcuni imputati. Le pene più pesanti sono state inflitte ai vertici del sistema: 13 anni e 3 mesi Saverio Serra, considerato personaggio legato al clan ’ndranghetistico Mancuso e attualmente in carcere; 11 anni e 2 mesi a Francesco Patamia, ex candidato alla Camera con la lista ’Noi moderati’; 10 anni e 6 mesi al padre Rocco Patamia. Serra avrebbe operato, in particolare a Cervia, con la moglie Annunziata Gramendola (condanna a 3 anni e 7 mesi) e il figlio Leoluca Serra (4 anni). Compiendo condotte di autoriciclaggio e con modalità minatorie, erano accusati di avere spinto un imprenditore cervese a cedere il laboratorio della Dolce Idea srl di via Levico 18, poi divenuto sede di società (Dolce Industria e altre) riconducibili a Serra e Patamia. Le neo società, secondo gli inquirenti, venivano poi intestate a compiacenti prestanome. Costretto a cedere il laboratorio per 353mila euro, di quei soldi l’imprenditore cervese ne vide solo una piccola parte, poi venne indotto a non fare denuncia con metodi intimidatori. Oltre alla Dolciaria Italiana, identica sorte era toccata al Forno Imolese srl, con sede legale a Bagnacavallo, dichiarato fallito nel 2021 con un passivo di 835mila euro: entrambe le attività erano amministrate da un prestanome, ma nei fatti gestite dalla famiglia Patamia e da Saverio Serra. Quel forno, di fatto, dopo varie traversie, fu regalato ai calabresi.

Altre condanne sono state inflitte a Massimo Antoniazzi (2 anni e 8 mesi), Domenico Arena (3 anni e 6 mesi), Marcello Bagalà (3 anni e 8 mesi), Claudia Bianchi (2 anni), Giorgio Giuseppe Caglio (3 anni), Antonino Carnovale (5 anni e 11 mesi), Gregorio Ciccarello (3 anni e 8 mesi), Alessandro Di Maina (6 anni e 8 mesi), Giovanni Forgione (2 anni e 5 mesi), Carmelo Forgione (2 anni e 5 mesi), Giuseppe Maiolo (3 anni e 9 mesi), Giovanni Battista Moschella (5 anni e 10 mesi), Eleonora Piperno (2 anni), Pietro Piperno (2 anni e 4 mesi), Patrizia Russo (3 anni), Michele Scrugli (2 anni e 8 mesi). Gli imputati, a vario titolo, sono stati inoltre condannati a risarcire le parti civili, alle quali sono state riconosciute provvisionali. Tra queste, 250mila euro alla società Forno Imolese, 200mila alla Dolce Idea srl di Cervia più 35mila al suo legale rappresentante, 10mila ciascuno ai Comuni di Bagnacavallo e Imola, 20mila a quelli di Cervia e Cesenatico; 5mila ciascuno ai sindacati Cgil, Cisl e Uil; 5mila all’associazione contro le mafie Libera. Tra i risarciti, con 5mila euro, anche l’ex portiere di serie A, Marco Ballotta, in quanto nel 2021 ritenuto vittima di minacce aggravate dal metodo mafioso dopo essersi rivolto a un intermediario per coprire un cospicuo debito bancario. "Dimostrato come il grave sfruttamento lavorativo e il caporalato siano realtà presenti nel nostro territorio anche in settori come quello del turismo, della ricezione alberghiera, dell’artigianato dolciario", il commento dei sindacati. "Riconosciuto il metodo mafioso: un’altra sentenza che ci racconta cosa avviene sul territorio", il giudizio di Libera.

Lorenzo Priviato