Lugo, neonato morto. Due a processo

Sono ginecologo e ostetrica che si occuparono del piccolo

Una sala operatoria

Una sala operatoria

Ravenna, 6 giugno 2018 - Il parto, il trasferimento d’urgenza in altre due ospedali e poi la morte. In tutto la vita del piccolo non era durata nemmeno 48 ore. A tre anni dall’accaduto, per il decesso di un neonato primogenito di una coppia di giovani ravennati, ieri mattina il gup Janos Barlotti ha rinviato a giudizio per omicidio colposo due camici bianchi, entrambi all’epoca in servizio all’ospedale di Lugo, là dove il bimbo era stato dato alla luce prima di essere trasferito in quello di Ravenna e da qui al Bufalini di Cesena.

Si tratta di un ginecologo, difeso dall’avvocato Pierluigi Barone. E di un’ostetrica, difesa dall’avvocato Ermanno Cicognani. I genitori del piccolo, parte civile con l’avvocato Maria Grazia Russo, hanno già ottenuto la citazione dell’Ausl Romagna quale responsabile civile: in caso di eventuale condanna, l’azienda sarebbe cioè chiamata a pagare in solito la provvisionale (quella parte del risarcimento immediatamente esecutiva). Processo al via a inizio settembre.

A trascinare i due imputati verso il processo, sono stati i risultati della perizia disposta dall’allora gip Piervittorio Farinella nell’ambito dell’indagine coordinata dal pm Daniele Barberini. L’analisi in particolare aveva inquadrato tre elementi accusatori. Ovvero nessuna di una serie di manovre previste dalle linee guida regionali «venne attuata».

Nella relazione, era poi stata menzionata la somministrazione, di cui «non si comprende la necessità», di un particolare ormone, l’ossitocina, che stimola le contrazioni. E infine il lungo tempo, che come tale «non trova spiegazione», intercorso tra l’applicazione della ventosa ostetrica sulla testa del bimbo, le manovre di trazione e la nascita: 27 minuti.

Il bambino era nato la mattina del 16 maggio 2015. Una gestazione che si era presentata senza particolari problemi per la madre giunta alla 41esima settimana in buone condizioni di salute. Tanto che il piccolo pesava quattro quattro chili. E cioè «non vi erano problemi di ritardo di crescita». Tutto filava liscio: forse anche per questo la mamma aveva scelto di partorirlo in acqua, eventualità sfumata alla fine. I problemi erano arrivati appena dopo la nascita con un’asfissia. Negli alveoli del bimbo era poi stato trovato meconio: il neonato aveva cioè inalato il materiale contenuto nell’intestino, situazione questa che porta a una polmonite chimica e a un’ostruzione meccanica dei bronchi. Una situazione così grave da determinare un’insufficienza multiorgano con conseguente decesso.

Gli imputati da parte loro hanno sempre sostenuto la correttezza del loro operato tanto da non avere fatto richiesta per riti alternativi. E così sono pronti a portare in dibattimento diversi testimoni di quanto accaduto tre anni fa.