Ravenna, 5 marzo 2017 - Il caffè nello stomaco lascia pensare che la morte sia avvenuta quella mattina, poco dopo averlo bevuto in un bar assieme al marito. Le ecchimosi trovate su varie parti del corpo, soprattutto su mani e braccia, fanno invece supporre un disperato – per quanto inutile – tentativo di difesa da parte di Giulia Ballestri, colpita più volte con lo stesso bastone, fino a provocarne la morte dopo un’agonia di parecchi minuti e dopo che la donna avrebbe cercato più volte di alzarsi e fuggire. Questo, in buona sostanza, il senso dei risultati dell’autopsia, per stabilire le cause del decesso, depositata nei giorni scorsi in Procura dai medici legali Franco Tagliaro e Federica Bortolotti e messa a disposizione delle parti, l’avvocato Giovanni Trombini per l’indagato, Matteo Cagnoni, e l’avvocato Giovanni Scudellari per la famiglia della vittima.
L’ultimo tassello che mancava all’accusa in previsione della chiusura delle indagini, ormai imminente. L’impianto di videosorveglianza della pasticceria ‘Le Plaisir’ di via Newton ha ripreso gli ultimi istanti di vita della 39enne Giulia, mentre al banco consuma la colazione. Accanto a lei c’è il marito, il dermatologo 51enne Matteo Cagnoni, dal quale voleva la separazione dopo dieci anni di matrimonio. Giulia beve un caffè. Di lì a poco si reca nella villa di via Genocchi – secondo la Procura col marito – per visionare un quadro da vendere in previsione della separazione. Secondo i consulenti dei pm titolari del fascicolo, Alessandro Mancini e Cristina D’Aniello, la presenza di caffeina nel contenuto gastrico, compatibile a una fase terminale di assorbimento della sostanza, fa pensare che la morte sia avvenuta entro poche ore, quindi tra le 8.30 e le 10.30.
Un risultato in linea con gli accertamenti medico legali emersi la notte del 19 settembre scorso, quando il corpo della donna fu ritrovato dalla polizia. La consulenza ha ricostruito le fasi dell’uccisione. Giulia Ballestri viene ripetutamente colpita con un bastone mentre si trova al primo piano. Agonizzante viene trascinata giù da una prima rampa di scale in marmo, fino al piano terra, e da qui da una seconda rampa fino allo scantinato, dove su un frigorifero sono state trovate le impronte sul sangue di Giulia che inchioderebbero il marito. Qui l’assassino, dopo che la donna aveva cercato di alzarsi e fuggire, come dimostrerebbero le sue impronte di piedi nudi (era stata spogliata), ha infierito: le lesioni al volto – scrivono i medici – potrebbero essere state prodotte anche dall’urto violento contro una parete, come proverebbe la presenza di frammenti di intonaco tra i capelli della vittima; del tutto simili a quelli presenti sul pavimento dello scantinato in prossimità di uno spigolo, peraltro in presenza di una grossa traccia di sangue.
Inoltre non viene escluso che la donna possa essere stata colpita da uno o più pugni o calci. Le lesioni rinvenute sul tronco sono invece compatibili col trascinamento e gli urti in rapida successione con i gradini, quelle su mani e braccia invece indicano un tentativo di difesa passiva dalle bastonate. L’azione omicidiaria emerge chiaramente dato l’elevato numero dei colpi e la loro concentrazione sulla testa. Mentre l’assenza di lesioni immediatamente fatali (al cuore o ai polmoni), fa capire che la durata dell’aggressione è stata prolungata, permettendo alla vittima di muoversi per un certo tempo nella villa, cercando di sottrarsi al suo assassino, e che l’agonia è durata «varie decine di minuti».