Parole d’odio, ecco come contrastarle

Una ragazza della classe 3^ C della scuola media ‘Mattei’ racconta di un laboratorio offerto dal Comune sull’“hate speech”

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Abbiamo partecipato a un laboratorio offerto dal Comune, il cui argomento è stato l’hate speech, ossia il discorso d’odio, cioè la denigrazione e la diffamazione nei confronti di qualcuno. Denigrare significa sminuire una persona. Per esempio una persona invidiosa di un’altra cerca di sminuirla per farla sentire inferiore.

L’odio affonda le sue radici nel passato, si tramanda dai genitori ai figli ed è basato su rappresentazioni false e stereotipi: questi sono pregiudizi nei confronti di persone per differenze culturali, religiose, fisiche, sessuali. A causa di questi stereotipi nascono le discriminazioni che portano uno o più individui a essere isolati dalla comunità e, di conseguenza, a isolarsi a propria volta, perché si sentono diversi e inadeguati. Un esempio di discriminazione può essere il razzismo verso le persone africane o afroamericane, che, solo per il colore della propria pelle, vengono considerate inferiori o addirittura pericolose. Come conseguenza delle discriminazioni c’è il linguaggio d’odio, che consiste nelle minacce e negli insulti, che possono arrivare al punto di augurare la morte.

A questo proposito l’esperta ci ha spiegato che è molto importante denunciare anche gli insulti apparentemente insignificanti, perché potrebbero trasformarsi col tempo in violenza verbale, che può portare enorme malessere.

Ci siamo confrontati come classe sul fatto di denunciare o meno queste violenze verbali. Alcuni pensano che sia sufficiente ignorarle perché, denunciando questi atti, si attira ancora più attenzione su di sé, spingendo i denigratori a continuare. Altri pensano, invece, che sia importante parlarne, perché in questo modo si affronta il problema. Io penso che, se nessuno facesse conoscere al mondo insulti e minacce di questo genere, le persone più vulnerabili, ad esempio gli adolescenti, non avrebbero il coraggio di affrontare queste difficoltà, perché si sentirebbero soli e in minoranza. Le denunce, oltre a insegnarci che è sbagliato scrivere cattiverie, ci insegnano a prendere di petto la situazione e ad affrontarla. La violenza nel linguaggio, però, ahimè, può degenerare in violenza fisica, come accade anche per le discriminazioni. Un tragico esempio è stata la morte di George Floyd, avvenuta il 25 maggio 2020 per mano di tre poliziotti a Minneapolis. Si è trattato di un crimine d’odio.

Tutto questo si può contrastare attraverso alcune azioni: promuovere un dialogo pacifico; non contrattaccare con un “contro odio”, né usare gli stessi stereotipi; tenere conto delle emozioni e interpretazioni soggettive del nostro interlocutore; fare leva sulle emozioni positive ed inclusive per togliere forza all’odio; tenere conto delle differenze di gravità delle espressioni d’odio per decidere cosa rispondere.

Per concludere abbiamo visto un video sugli stereotipi nei confronti delle ragazze, in cui si vedevano alcune adolescenti a cui veniva chiesto di correre e comportarsi “come una ragazza” ed esse, nel compiere tali azioni, scimmiottavano una vera corsa e una vera lotta. La stessa cosa veniva chiesta poi ad alcune bambine, che invece correvano e combattevano come campionesse olimpiche.

Dal video si comprende che tanti adolescenti considerano le ragazze fragili e deboli, mentre le bambine sono ancora libere da questi stereotipi di genere e semplicemente esprimono loro stesse.

Una frase, che mi ha colpita molto in questo video, è stata: “Perché correre come una ragazza non può significare vincere la gara?”.

Viola Boscarino, classe 3^ C

Scuola media ‘Mattei’

di Marina di Ravenna

Prof Alessandra Grilli