
Tanti altri ritrovamenti sono tornati sotto terra
Si sa che il sottosuolo di Ravenna è una ricchissima miniera di antichi reperti e quando alcuni di questi vengono riportati casualmente alla luce si pone il problema della loro valorizzazione. Ultima in ordine di tempo è stata la scoperta della villa romana a Classe che però, stando a quanto si è appreso, seguirà il destino di altri ritrovamenti e verrà riconsegnata al buio della terra. Uno dei casi più noti è il ’Ponte di Augusto’, detto anche Austro, i cui resti furono rinvenuti una prima volta nel 1756.
Una lapide murata in via Salara è l’unica testimonianza dell’esistenza di questo ponte che in tempi recenti è stato riportato alla luce per poi essere di nuovo ricoperto. La lapide, inoltre, contiene una inesattezza perché si legge che il ponte era sul fiume Padenna mentre in realtà era sul flumisellum Padennae, un ramo del Padenna "che dal fiume arrivava al luogo dov’è la Pescheria e che scorreva verso le mura uscendo dalla città nei pressi di Porta Adriana".
Il ponte era sicuramente di una certa importanza perché la “guaita S.Mariae Majoris” era ricordata essere "in regione Pontis Augusti". Una cinquantina di anni fa, nel maggio del 1973, durante i lavori di scavo in Piazza dei Caduti per la realizzazione di un’isola pedonale vennero alla luce dei resti risalenti probabilmente alla tombatura del Padenna. Il ritrovamento di tracce di una fognatura e di un presunto ponte suscitarono un certo interesse e qualcuno pensò che il tutto avrebbe meritato una conservazione. Uno studio più accurato evidenziò però che il diametro delle arcate non poteva essere associato a un ponte e anche in questo caso il tutto venne di nuovo coperto. Alcuni anni prima, nell’autunno del 1958, erano stati trovati reperti simili nella zona compresa fra le vie Cairoli, Gessi e Mentana.
I recenti lavori di sistemazione di Piazza Kennedy hanno portato alla luce alcuni “resti” della chiesa di Sant’Agnese un tempo ricordata da una lapide dettata da Filippo Mordani e murata sulla facciata di una casa di via IX Febbraio. La lapide, che non esiste più, ricostruiva la storia della antica basilica risalente al V secolo e costruita probabilmente da Gemello, prefetto della chiesa ravennate in Sicilia, lo stesso che edificò Sant’Agata Maggiore. L’archeologo monsignor Mario Mazzotti auspicò negli anni Trenta il ripristino della lapide a memoria della antica chiesa che tuttavia è presente. Un occhio attento, infatti, riesce a individuare sulla pavimentazione della piazza la pianta della antica chiesa.