REDAZIONE RAVENNA

Tecnico morto nel crollo alla diga: "L’operaio non chiuse il pozzo. Frane dopo stop imposto da Arpae"

Il direttore lavori dribbla le accuse: "Quel buco non ha colpe, ad ogni modo avevo detto di tapparlo" .

Il direttore lavori dribbla le accuse: "Quel buco non ha colpe, ad ogni modo avevo detto di tapparlo" .

Il direttore lavori dribbla le accuse: "Quel buco non ha colpe, ad ogni modo avevo detto di tapparlo" .

Il processo per il crollo della diga di San Bartolo, sul fiume Ronco, continua con l’esame degli imputati davanti al giudice Cosimo Pedullà. Il caso, che vede sul banco degli accusati nove persone tra dirigenti regionali, progettisti e responsabili della concessionaria Gipco, ruota attorno alla tragedia del 25 ottobre 2018, quando Danilo Zavatta, tecnico della Protezione Civile regionale, perse la vita nel disastro. Il primo a parlare è stato Angelo Sampieri, ingegnere progettista e direttore lavori della centrale idroelettrica. Incalzato dalle domande del Pm Lucrezia Ciriello, ha affrontato il tema cruciale della stabilità della chiusa, sulla quale già nel 1954 erano stati fatti interventi di messa in sicurezza. Sampieri sapeva che lo scatolare della centrale sarebbe passato tra le pile del ponte, "a fregio o sotto le fondamenta delle due pile". Secondo l’accusa, i lavori hanno intaccato i cosiddetti taglioni antisifonamento, determinando il cedimento. Ma Sampieri si difende: "Li ho visti solo nel progetto che mi fu dato". E perché nel progetto esecutivo non erano allegate le carte dei lavori del ’54? "Non lo ritenevo importante", risponde. Ricorda però che che dopo gli scavi furono rinvenuti materiali, ritenendo fossero "residui della vecchia lavorazione del ’54, macerie abbandonate come capita in tutti i cantieri".

Un altro punto caldo è il “pozzettone”, un grosso foro scavato per inserire una pompa e lavorare all’asciutto sulla platea della centrale. Per la Procura, è stato il detonatore del sifonamento che ha portato al crollo. Sampieri sostiene che il pozzo fosse previsto e che la Regione ne fosse al corrente, ma aggiunge: "Una volta terminati i lavori della centrale dissi all’operaio che era meglio chiuderlo". Quando, il 9 settembre 2018, si verifica un primo sifonamento con fuoriuscita di acqua e materiali proprio da quel punto, il direttore dei lavori intuisce che il pozzo non è stato chiuso. Lo fa tappare con cemento, ma il danno è già fatto. La colpa indiretta ricade dunque sull’operaio, che non gli diede ascolto. Altre volte l’ingegnere si sarebbe lamentato col committente del fatto che gli operai non gli davano retta. Eppure, secondo la difesa (avvocato Max Starni), il pozzettone non è la causa diretta del crollo: il 25 ottobre, durante un collaudo per verificare la tenuta del tappo, il sifonamento si ripresenta. "Il pozzettone era una spia del problema, non la causa", insiste Sampieri. La vera colpevole? Una "sorpresa geologica": il fondo sabbioso, che non sarebbe sabbia fluviale ma materiale di cava, sempre residuo di lavori precedenti. Trovando chiuso il pozzo, l’acqua, con la complicità di quella "sorpresa geologica", avrebbe iniziato un percorso tortuoso, determinando il crollo. Direttore dei lavori fino a dicembre 2017 ("dopo facevo il nonno"), ad ogni guaio Sampieri veniva richiamato "solo come consulente". E accenna anche ad altre responsabilità indirette. Dopo la chiusura della direzione lavori, il 28 dicembre 2017, l’Arpae sigilla il cantiere per verificare eventuali inquinamenti, lasciandolo fermo per sette mesi. Nel frattempo, secondo Sampieri, le piene del Ronco (inesistenti per la Procura) e le piogge fanno franare gli argini, scalzando la pila del ponte, un altro fattore che il Pm Ciriello ritiene determinante per il crollo.

Dopo Sampieri, tocca al committente, Daniele Tumidei, imprenditore difeso dall’avvocato Alessandro Melchionda. Lui si chiama fuori dalle questioni tecniche: ha investito nell’idroelettrico, ma si è affidato a squadre di esperti per la progettazione. Respinge anche ogni sospetto di rapporti privilegiati con Claudio Miccoli, dirigente regionale e coimputato (sarà sentito alla prossima udienza), in merito alla cessione di pannelli fotovoltaici: tutto pagato e fatturato regolarmente. Chiude l’udienza Andrea Bezzi (avvocato Luca Orsini), funzionario della Regione. Ammette che all’interno del Servizio di Protezione Civile c’erano divergenze: gli ispettori idraulici, già sentiti nelle udienze precedenti, avevano espresso dubbi sul progetto e lamentato carenze. Tuttavia, difende il nulla osta rilasciato nel 2014, sostenendo che la centrale non alterava il regime idraulico del fiume.

Lorenzo Priviato