Una vita nella Polizia stradale: "Moto e divisa avevano fascino. Quante operazioni contro il crimine"

Piero Valeriani, commissario alla Polstrada di Ravenna e Bologna, in pensione dal 2005 "Ai miei tempi il personale era abbondante, ricordo che una volta arrivarono 20 agenti tutti in una volta".

Una vita nella Polizia stradale: "Moto e divisa avevano fascino. Quante operazioni contro il crimine"

Una vita nella Polizia stradale: "Moto e divisa avevano fascino. Quante operazioni contro il crimine"

Quasi quarant’anni di Polizia stradale, per la gran parte quando la specialità era il fiore all’occhiello del Ministero dell’Interno, i giornali dedicavano pagine al Caps di Cesena e alle centinaia di giovani allievi che uscivano in moto per le strade della Romagna e il giorno dopo fioccavano le richieste di arruolamento; Piero Valeriani ha vissuto in prima linea i momenti più drammatici della storia italiana, dai moti insurrezionali di Reggio Calabria al banditismo sardo all’autunno caldo a Milano preludio alla strage di piazza Fontana e ha poi percorso nella Stradale tutta la carriera, fino a commissario, da Ravenna, a Lugo, Faenza (ove risiede) e Bologna dove ha organizzato e diretto la sezione di polizia giudiziaria del Compartimento regionale della Polstrada, una supersquadra che è riuscita a sbaragliare le bande della camorra che quasi ogni notte operavano sulle autostrade della regione rapinando autotreni carichi di merce pregiata e a scoprire la trafila fra Calabria ed ex Jugoslavia che legava auto rubate, armi e droga.

Una Polizia stradale molto diversa da quella odierna.

"Oggi la Polstrada come l’abbiamo concepita e modellata noi non c’è più. Non c’è organico. Pensi solo che la sezione di Ravenna negli anni 70 metteva su strada otto pattuglie nelle 24 ore, in più c’era l’Infortunistica. Il compito primario era quello di stare sulla strada e rilevare gli incidenti. Solo la presenza dell’uomo in divisa, non la tecnologia, rende sicura la strada. La tecnologia è utile solo per accertare infrazioni".

Stesse parole di Giordano Biserni, il presidente dell’Asaps. "Abbiamo lavorato molto assieme…oggi con il suo osservatorio a livello nazionale è un punto di riferimento indispensabile per migliorare il livello di sicurezza sulle strade, ma non sempre i suoi suggerimenti vengono raccolti…".

Diceva dell’organico, ai suoi tempi c’erano numeri grandi… "Nel ‘70 dal Caps furono destinati in una sola botta a Ravenna, Faenza e Lugo ben 20 agenti. Il personale era abbondante anche perché sui giovani facevano colpo divisa e motocicletta. Lo fu anche per me".

Lo racconti. Intanto, di dove è originario?

"Di Sefro, nel Maceratese. Il babbo, Domenico, era proprietario terriero e la mamma, Palma, gestiva un ristorante. E mi piace ricordare lo zio Gino, amico di Enrico Mattei, responsabile della comunicazione all’Eni e capo redattore al Corriere dello Sport e poi i due fratelli, Dario, maestro per una vita e sindaco a Pietralagna e Lorenzo, una carriera nei carabinieri a Roma".

Come decise l’arruolamento in polizia?

"Come le dicevo, per molti di noi ragazzi, all’epoca, facevano colpo la moto Guzzi, la divisa con i ‘centauri’, il casco. Se ne vedevano tante di pattuglie sulle strade. Così, terminato il Liceo Classico, feci domanda, vinsi il concorso e nel 1966, a 21 anni, entrai alla scuola di Polizia a Caserta, poi a Senigallia a imparare a guidare le moto, infine il corso di specializzazione al Caps di Cesena. In tutto tre anni di scuola. E nel ‘70 la destinazione: ero tra i primi dieci e potevo scegliere, e scelsi Ravenna".

Come mai?

"Perché ero già stato aggregato alla sezione della Polstrada, in via Ravegnana, mentre ero al Caps e la città mi piacque. Sempre su strada, pattuglia e pronto impiego per gli incidenti stradali, a rotazione. Il servizio dell’Infortunistica durava 24 ore, dalle 8 alle 8. Eravamo militari, allora, e pensi che in pattuglia si andava in moto anche in inverno, perché Polizia stradale e moto erano inscindibili. Ricordo che da Cesena mi mandarono aggregato a Bolzano in occasione dei campionati del mondo di sci del ‘69: e andai in moto e lassù c’erano sette gradi sotto zero!".

Lei è stato operativo anche su fronti caldi, banditismo in Sardegna e moti popolari a Reggio Calabria…

"Fra il ‘69 e il ‘71 e in mezzo ci fu la strage di Piazza Fontana! In Sardegna, in particolare nel Nuorese e a Orgosolo, imperava il banditismo con sequestri, razzie, omicidi. Il capo era Graziano Mesina. Il Governo aveva inviato i baschi blu della Celere, ma alcune non chiare vicende, ci furono morti, indussero a fare dietro front e l’ordine fu che nel Nuorese avrebbe operato solo la Polizia stradale. Da tutta Italia arrivammo a Nuoro in 470, tutti della Stradale. Ogni giorno posti di blocco e pattuglie. E nelle ore morte, studiavo. Poi a fine ‘70 fui mandato a Reggio Calabria dove c’era la rivolta per il capoluogo di Regione. Lì si faceva ordine pubblico, con i blindati e l’esercito!"

Ha detto che studiava, per che cosa?

"Prima per vice brigadiere poi per maresciallo. Risultai fra i primi in entrambi e ogni volta potei scegliere la destinazione e non cambiai: Ravenna. Dove sono rimasto fino al ‘74, per tre estati ho gestito il distaccamento di Cervia, forte di venti uomini" .

Quindi il passaggio a Faenza…

"Come vice comandante. Era il periodo in cui comparvero i primi radar tachimetri ‘artigianali’ per misurare la velocità. In quell’anno mi sposai con Carla, l’avevo conosciuta nel ‘72 a Bologna, all’università dove frequentavo giurisprudenza. Nel ‘76 nacque Veronica, è avvocato. In quel periodo fui anche vice a Lugo e nel ‘78 assunsi il comando a Faenza. Allora le nostre pattuglie coprivano ininterrottamente la via Emilia da Riccione a Modena. C’era una squadra infortunistica di grandi esperti: sulle planimetrie dell’appuntato Gori, un geometra, il tribunale decideva senza dubbi". E da Faenza il salto a Bologna…

"Nel 1983, da ispettore. Organizzai una squadra di venti uomini per sole indagini di polizia giudiziaria su tutto il territorio regionale. Cominciammo con i furti delle auto, allora erano moltissimi, poi le importazioni di auto con evasione dell’Iva, quindi le rapine ai caselli autostradali e gli assalti agli autotreni carichi di merce in marcia sulle nostre autostrade. Ogni colpo erano danni per centinaia di milioni di lire".

Rapine ad opera di camorristi…

"Gente bene armata e non fu facile venirne a capo. Non c’erano telecamere, anzi le facemmo installare noi nei vari grill autostradali…facevamo appostamenti notturni ai caselli, ma vincente fu l’analisi di migliaia di biglietti d’ingresso ai caselli per capire dove gli autotreni con l’autista sotto sequestro venivano fatti uscire per poi svuotari".

Riusciste a trovare i capannoni dove veniva stivata la merce…

"Ce n’erano anche a Faenza e a Ravenna. Pensi che complessivamente finirono in carcere oltre settanta persone. Il che suscitò anche invidie e gelosie di altri uffici…ma lasciamo perdere. Dico invece che un risultato del genere fu possibile per la fiducia che la magistratura ebbe in me e nella mia squadra".

Indagini le vostre che, mi sembra di ricordare, portarono alla luce anche altri fatti criminali…

"Traffici internazionali, come la trafila fra furti d’auto e acquisto di armi nella ex Jugoslavia, pagate dalla ‘ndrangheta con sacchi di droga. Indagini che mi hanno portato spesso nell’Est Europa e in situazioni non proprio tranquille…!"

Poi la pensione.

"Nel 2005, da commissario. Per dieci anni ho fatto il consulente per il recupero delle auto noleggiate, poi ho chiuso, ma ho mantenuto l’hobby delle riprese in immersioni in giro per il mondo".

Carlo Raggi