Confiscate villa e palestra all’imprenditrice Brugnano

Non ha versato all’Erario oltre seicentomila euro per indebite compensazioni. La donna è moglie di Antonio Vetere che spuntò nell’inchiesta Aemilia

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di Daniele Petrone

Una villa di pregio, una palestra con piscina e un fondo pensione. Immobili e liquidità confiscate definitivamente all’imprenditrice calabrese Vittoria Brugnano per non aver versato all’Erario una somma di oltre seicentomila euro.

La donna è nota agli investigatori anche per essere la moglie di Antonio Vetere, ritenuto dagli inquirenti "un fiancheggiatore" di spicco della cosca di ’ndrangheta Grande Aracri. Il nome del marito emerse nell’inchiesta-processo Aemilia, nel cosiddetto ‘Affare Sorbolo’ (dove compare tra i primi investitori del denaro impiegato dal boss Nicolino Grande Aracri), un perfetto esempio di come – tra passaggi di quote e decine di società coinvolte tutte controllate dalla criminalità organizzata – venivano reimpiegati i capitali illeciti della cosca, in questo caso per un’imponente lottizzazione immobiliare a Sorbolo vicino a Brescello, quartier generale dei Grande Aracri. Operazione che – scoperta dagli inquirenti – portò al sequestro, ai fini della confisca, di 10 milioni di euro di beni al 56enne imprenditore cutrese Francesco Falbo.

La Brugnano – già condannata (passata in giudicato) – secondo quanto ricostruito dalle indagini delle Fiamme Gialle è responsabile di indebite compensazioni di imposta per una cifra

pari a 628mila euro. Denaro riconducibile alla società – l’omonima Brugnano Vittoria & C. Sas – della quale era amministratrice di diritto. Con questa era titolare di tre palestre (ora in fallimento) disseminate tra Reggio, Parma e Assisi (Perugia). La Procura Generale della Corte d’Appello di Bologna ha così emesso un decreto di confisca definitiva per equivalente dei beni, eseguito dal nucleo di polizia economico finanziaria del comando provinciale della guardi di finanza di Reggio.

I sigilli sono finiti nella villa di via Palladio, nella frazione reggiana di Cadè, ma anche ad un fondo pensionistico e soprattutto al complesso di beauty-wellness con palestra e piscina annessa che l’imprenditrice gestiva in città come esercizio pubblico prima di chiudere i battenti.