Donne nella ’ndrangheta: "Non più solo sottomesse"

La giurista e ricercatrice indipendente Iandolo dedica al tema un saggio

Donne nella ’ndrangheta: "Non più solo sottomesse"

Donne nella ’ndrangheta: "Non più solo sottomesse"

Le donne nella ‘ndrangheta hanno ruoli variegati: vittime, complici silenziose, ribelli, ma anche co-protagoniste delle trame criminali. Comunque anche le donne si evolvono coi tempi, seguendo i dettami della modernità che rende le mafie sempre più subdole. Emerge dal libro ‘Madrine di ‘ndrangheta’ (casa editrice Aliberti), scritto da Federica Iandolo, giurista e ricercatrice indipendente: un saggio-mosaico che ripercorre la letteratura del settore, spazia dalla sociologia all’attualità dei processi giudiziari, fino a proporre alcune interviste.

"Le donne di ultima generazione non sono più solo mogli o figlie sottomesse e analfabete – scrive Iandolo – Nunzia Graviano, ad esempio, gestiva il settore finanziario delle attività illecite, conosceva le lingue, usava il computer e leggeva il Sole 24 ore. Le nuove generazioni hanno studiato e hanno competenze utili ai nuovi interessi economici della mafia, dove non servono forza fisica e particolare violenza". Si ripercorrono due storie di donne condannate nel processo ‘Aemilia’. Come il ‘fantasma’ Karima Baachaoui, tunisina, legata sentimentalmente a Gaetano Blasco, ‘ndranghetista reggiano: lei, destinataria della custodia cautelare in carcere per mafia, è latitante dal 2015 così come il fratello Moncef. Gestiva contabilità, partecipava agli incontri di mafia, faceva estorsioni, trasferisce armi: "Vive in Tunisia, si sa dove – scrive l’autrice – ma le leggi non permettono il suo arresto". Poi sfila la bolognese Roberta Tattini, consulente finanziario per il boss Nicolino Grande Aracri, condannata per concorso esterno alla mafia. Entrambe "sono donne non inserite formalmente nella ‘ndrangheta, non appartengono alla cultura calabrese, hanno competenze professionali, sono infatuate dal potere e dal denaro proveniente dall’ambiente criminale": tratti per delineare "l’identikit delle nuove donne di ‘ndrangheta". Poi Giuseppina Mauro ed Elisabetta Grande Aracri, moglie e figlia del boss Grande Aracri, condannate di recente in secondo grado per 416 bis in ‘Farmabusiness’ perché avrebbero retto la cosca in assenza del marito-padre: "La temporaneità del loro ruolo apicale – annota Iandolo – aveva indotto gli inquirenti a sottovalutare il loro apporto, atteggiamento che si sta finalmente modificando". Tra le donne intervistate, figura Sara, pseudonimo della moglie di un uomo condannato per mafia in ‘Aemilia’. Pure lei ha dovuto scontare una pena, ma dice di essere sentita estranea alle accuse, e parla dei problemi insorti dopo il divorzio. L’autrice fa anche una statistica da cui emerge un aspetto sorprendente: nei processi ‘Aemilia’ e ‘Grimilde’, celebrati a Reggio, la percentuale di donne imputate è più alta che in Calabria. E il numero di donne provenienti da Emilia e Calabria risulta equivalente.

Alessandra Codeluppi