I 75 anni di Camisasca "Tornerò sul lago Qui ho avuto tanti amici, li porterò con me"

Il vescovo presenta le dimissioni: "Penso e spero che il Papa trovi un sostituto in poco tempo. Serve un giovane con più fede"

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di Saverio

Migliari

"Il 3 novembre compirò 75 anni e come richiesto dal codice di diritto canonico presenterò al Santo Padre la rinuncia al ministero della Diocesi di Reggio Emilia-Guastalla. Questo non vuol dire che io sappia quanto dovrò rimanere qui, probabilmente delle settimane o forse dei mesi. Il Papa potrà anche confermarmi per uno o due anni, penso che però nominerà un mio successore e in un certo senso lo spero".

Nove anni. Tanto è durato il suo ministero a Reggio. Monsignor Massimo Camisasca, perché oggi spera che sia nominato un successore?

"In primo luogo quando un vescovo viene confermato per un anno o due è come un’anatra azzoppata Poi perché la nostra diocesi ha bisogno di un vescovo più giovane di me, aggiungo anche con più fede, speranza e carità".

Come mai con più “fede“?

"È la virtù fondamentale per un vescovo e chi verrà dopo di me spero che l’abbia in dosi maggiori delle mie. La mia non si è affievolita, anzi si è rafforzata. Ma la fede non ha confini. ".

Dopo si sposterà?

"Non mi fermerò in diocesi, come potrei? Farei fatica a evitare che qualcuno venga a trovarmi e le mie parole potrebbero essere usate. Pregherò per questa Chiesa tutti i giorni. Porterò le sorti di questa terra con me".

Dove si trasferirà?

"Andrò a vivere sulla sponda lombarda del Lago Maggiore, in una casa donata alla Fraternità San Carlo. È come un cerchio che si compie, perché lì ho vissuto i primi sette anni di vita e lì sono tornato spesso nella casetta dei miei genitori".

Le manca il lago?

"Io sono un uomo di lago, gli uomini di lago sono quelli che sanno scorgere l’altra sponda, che creano ponti. Gli uomini di mare guardano verso l’infinito. Lo faccio anche io, ma attraverso relazioni che stabilisco, mentre l’uomo di mare porta le relazioni verso l’infinito".

Cosa farà una volta là?

"I primi mesi saranno dedicati a un grande riposo. Poi alla meditazione, alla preghiera, alla lettura, alla scrittura e se sarò richiesto alla predicazione, per il tempo che mi rimane".

Lei ha avuto qualche problema di salute. Oggi come sta?

"Ne ho avuti, ma relativi. L’infezione batterica grazie alla maestria dei medici di Reggio è stata tamponata e poi curata. Poi qualche difficoltà compatibile con l’età che ho".

Che parenti ha con cui ricongiungersi?

"Mio fratello gemello, professore in pensione, manzonista, che abita a Milano con la moglie. Lì abitano i tre figli e gli otto nipoti a cui sono molto legato, che ogni tanto verranno sul lago nella nostra casa".

Non tornerà a Milano?

"L’ho lasciata negli anni ’70 ed era la Milano risorta dalla guerra. Adesso trovo una città nuova, un centro europeo, una città post-moderna. Ma passerò il mio tempo soprattutto sul lago".

Anche perché ha già viaggiato moltissimo.

"Il primo viaggio fu quello da Milano a Napoli nel 1970, per un convegno di Azione Cattolica. Spesi 15mila lire andata e ritorno. I miei segretari hanno poi calcolato che di viaggi intercontinentali ne ho fatti 146 solo per la Fraternità San Carlo. A cui vanno aggiunti quelli per la diocesi: Brasile, India, Madagascar, Albania e Rwanda".

Qual è stato più significativo?

"Tutti, ma ciò che mi ha colpito di più è stata l’India, che non conoscevo. Dove ho incontrato un mondo lontanissimo, quello dell’induismo, e nello stesso tempo il mondo di Madre Teresa a Calcutta. Un mondo di estrema povertà: essa dove è attraversata dalla speranza cristiana è luminosa. Altrimenti è solo grido e rassegnazione".

Cosa sta scrivendo ora?

"In questo momento ho consegnato un romanzo, il mio primo. E poi un piccolo libro sulla vita comune. Ora sto iniziando un secondo romanzo che è una storia di spionaggio. Intendo poi dedicarmi alla biografia di Madre Cristiana Piccardo, una monaca trappista che è stata un pilastro della riforma monastica dopo il Vaticano II".

Volgendosi indietro, qual è il suo rimpianto?

"Non amo molto i bilanci, preferisco che sia Dio a farli. Come diceva San Paolo “non dobbiamo giudicarci, non dobbiamo lasciarci giudicare“. Però alcuni rimpianti li ho: non essere riuscito a suscitare in modo considerevole vocazioni presbiterali, una comunione più profonda all’interno del presbiterio e una vita comune all’interno della Chiesa".

In che senso?

"Io penso che la vita comune sia il futuro della Chiesa. Il male del nostro tempo è la solitudine. Per questo ho descritto le unità pastorali come “comunità luminose“ che siano luce che irradia calore. Non basta ritrovarsi a pranzo ogni tanto".

L’idea ricorda le prime comunità cristiane.

"È vero, d’altra parte stiamo vivendo un momento di transizione. Indubbiamente andremo verso comunità meno numerose, meno dotate di opere pubbliche, anche se spero che la Chiesa non abbandoni scuole, ospedali, case per anziani e carceri che è dove risiede la carità vera. Ma dobbiamo pensare a comunità più piccole con più forza evangelizzatrice".

A proposito di crisi della vocazione: due anni fa propose di far aprire le chiese abbandonate a laici. È stato fatto?

"Ad oggi siamo fermi. Perché è molto più facile dire “valorizziamo i laici“ del valorizzarli veramente. Io desidero che le chiese chiuse possano avere un laico o più laici che costituiscano un punto di riferimento per la popolazione, per aprire la chiesa per la preghiera anche se non, ovviamente, per la celebrazione eucaristica. Ho consegnato questo desiderio al consiglio presbiterale, che ne ha parlato per due anni. Adesso spero che si arrivi al dunque. La mia proposta è di partire individuando 4 o 5 chiese".

Avrebbe voluto più velocità?

"Sì".

Quali sono le gioie più grandi?

"Le persone che ho conosciuto. La fede del popolo e la fede dei singoli, la carità di molti. Tanti artisti, purtroppo poco collegati e quindi con una capacità piccola di affermarsi in questa terra. Nonostante sia un luogo di grandi artisti in ogni campo: basta ricordare Correggio, Romolo Valli e Zucchero Fornaciari".

Escluso Correggio, ne ha conosciuti di questi ultimi?

"Romolo Valli l’ho visto e ricordo ancora la sua interpretazione di Enrico IV di Pirandello. Non ho conosciuto Zucchero, non ho mai avuto il coraggio di chiamarlo".

Chi ha chiamato, invece?

"Sono diventato amico di Iva Zanicchi, di Giovanni Lindo Ferretti, ho conosciuto e stimo Massimo Zamboni, sono stato testimonial delle vaccinazioni con Orietta Berti. Ho conosciuto Beppe Carletti recentemente: non volevo lasciare questa terra senza incontrarlo. È stato molto bello, soprattutto per la testimonianza della sua amicizia con Augusto, che lui vive come una cosa presente".

Cos’ha significato essere un vescovo proveniente da Comunione e Liberazione in una città di tradizione comunista?

"Nessun imbarazzo, perché l’incontro con don Giussani mi ha fatto aprire a tutto ciò che vive nel mondo senza “a priori“ negativi. Qui ho incontrato una minoranza di comunisti duri e puri che hanno suscitato in me molto interesse e ammirazione per la loro integrità, assieme allo sconcerto per la non conoscenza di ciò che il comunismo è stato storicamente. “La vita per un ideale” di queste persone, l’ho ammirata. Poi ho incontrato il mondo del post-comunismo, dell’individualismo radicale, che sento invece opposto al mio. In terzo luogo ho incontrato il mondo delle ideologie e ho visto quanta polarizzazione c’è nel mondo reggiano, anche nella Chiesa, dove non ci si parla tra chi vota Pd e Forza Italia, e dove non si ha ancora il coraggio di fare i conti col passato. E si parla della Resistenza come di un evento divisivo: non si è capaci di riconciliazione. Su questo c’è ancora molto da fare".

(Segue nella pagina a fianco)