Niente lavoro per le foto sexy, Paolo Crepet: "I dipendenti non si scelgono su Facebook"

Lo psichiatra e il caso di Cristy Gomez, la donna respinta dall'azienda. "Libero l’imprenditore di scegliere, ma bisognerebbe valutare le capacità"

Paolo Crepet interviente sul caso di Cristy Gomez e delle foto sexy

Paolo Crepet interviente sul caso di Cristy Gomez e delle foto sexy

Reggio Emilia, 3 novembre 2019 – «Credo che qualsiasi collaboratore in un’azienda debba essere preso in base alle proprie qualità e non per una fotografia - dice il noto psichiatra Paolo Crepet -. Una persona va presa in base al curriculum, non per quello che c’è su Facebook».  

In questo caso una donna segnala di aver perso il lavoro, che doveva iniziare lunedì, perchè non sono piaciute le sue foto sui social. «Nessuno mette in dubbio la libertà dell’imprenditore di scegliere i collaboratori, ci mancherebbe. Non entro certo nel caso specifico che non conosco. Parlando in generale, occorre però capire cosa vuole fare un’azienda».  

Leggi anche Reggio Emilia, foto troppo sexy sui social. Niente lavoro

Doveva assumere una centralinista per uno stage di quattro mesi. «Credo che si possa scegliere sulla base della capacità di rispondere al telefono in maniera educata e gentile, di ricordarsi i nomi dei clienti ricorrenti... Il resto sono fatti suoi, importante è che sia una brava persona. Un’azienda deve guardare al proprio bene, capire se una persona è adatta, ci vuole un certo talento per fare la centralinista, non va bene una voce monocorde, deve avere empatia col prossimo...».  

Sarebbero state decisive le foto sui social. «Francamente mi pare un eccesso di zelo... Spesso gli imprenditori oggi tendono a non guardare alla sostanza, a chi sei veramente al di là del curriculum. Io farei quattro chiacchiere per capire se una persona è rassicurante, se ha la capacità di fare».  

L’importanza data ai social sta diventando eccessiva? «C’è questa mania di esposizione di sè che è l’altra faccia della medaglia di questa storia, sulla quale ogni tanto dovremmo ragionare. È diventato assolutamente normale esporsi in rete, ovvio come il caffè che beviamo la mattina».  

Qual è il problema di questo successo della rete? «Noi esistiamo se ci esponiamo sulla rete. C’è questa ricerca di consenso, non sai neppure verso chi. A tutti mandi una cosa che è tua, si tende a perdere una dimensione di dignità e intimità su cui forse occorrerebbe fare una riflessione. Capisco che siamo nel pieno della sbornia dei social per cui è difficile parlare a un ubriaco, però ...».  

Si sta dando troppa importanza ai social? «Mi pare che siamo ormai un po’ tutti asserviti. Sul caso di questa signora non voglio fare alcuna questione morale, non ne conosco i termini particolari. Parlo in generale e mi chiedo se non sarebbe il caso di fare una domanda: ‘Cui prodest?’. Mi metto in bella vista e poi? Non lo dico da parroco della parrocchia, piuttosto è una domanda da pensiero laico. Insomma, metti in mostra una cosa che è tua, capisco se la indirizzi a una persona che ami, a cui vuoi bene, con cui hai una relazione anche di amicizia, di complicità di qualche tipo. Ma l’idea, ad esempio, che sei al mare in bikini e metti su Facebook... Ma perchè?»