Remuzzi, padre delle terapie Covid "Anche i medici possono sbagliare"

Il direttore dell’Istituto di ricerche Mario Negri di Milano: "Non bisogna presentarsi come persone che hanno la verità in tasca. Il ’seguire la scienza’ ciecamente è stato l’errore della politica"

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Per quanto spesso considerati supereroi, anche gli uomini di scienza commettono errori. "Quando i medici sbagliano. E come discuterne in pubblico" è, per l’appunto, il titolo dell’ultimo libro del dottor Giuseppe Remuzzi, originario di Bergamo e direttore dell’Istituto di ricerche farmacologiche Mario Negri di Milano, presentato ieri nell’aula magna di Unimore in via Allegri. L’incontro, organizzato dalla Libera Università Crostolo in collaborazione con Librerie.Coop, ha visto la partecipazione di circa duecento persone, che hanno assistito al dibattito tra il dottor Remuzzi e il dottor Marcello Pini, docente Unimore di patologia generale e immunologia.

Una discussione aperta e diretta su temi quanto mai delicati, soprattutto dopo gli ultimi anni, che parte proprio dall’assunto erroneo di considerare i medici entità onniscienti e sempre pronte a rivelarci ogni minimo risvolto futuro: "La chiave di lettura della scienza - ha detto Remuzzi - è in divenire, continua sempre a modificarsi. E’ qualcosa per cui si impara in continuazione, non bisogna presentarsi come persone che hanno la verità in tasca". Il Covid in questo senso ha messo in evidenza "quanto ancora c’è da lavorare sul dialogo tra chi si occupa di scienza e il pubblico" ha considerato Pinti.

Lo sbaglio forse più plateale commesso negli ultimi anni, secondo Remuzzi, "è stato quello di ’seguire la scienza’ e con questa frase penso ai politici, così come ai media, che l’hanno utilizzata. La scienza può fare previsioni, più o meno certe, e dire la sua; non spetta alla scienza però indicare alla società civile quale direzione prendere".

Questo è valso senza dubbio per i vaccini e, in futuro, potrebbe valere per la cura del virus a casa grazie all’uso di farmaci antinfiammatori; uno studio tuttora in corso "che dovrebbe essere definitivo" spiega Remuzzi, preceduto da altri due studi che hanno dato gli stessi risultati "ma erano imperfetti, per cui è giusto che le autorità regolatorie non li abbiano raccomandati, anche se hanno consentito di usarli. Dovesse quest’ultimo essere perfetto, cambierebbe davvero la sostanza nel metodo di affrontare la malattia".

Il dibattito si è chiuso con un riferimento al ruolo del pubblico e del privato nella sanità: "La sanità deve essere pubblica - ha detto Remuzzi -. Più concretamente: si deve poter evitare alle persone la preoccupazione dei soldi quando si ammalano. A ben vedere la sanità è l’unica attività economica il cui obiettivo è diminuire il fatturato; serve dunque una sanità pubblica che accrediti il privato per le cose in cui il pubblico è carente, non per quello che vuole il privato. Altrimenti il rischio è davvero quello di finire nella stessa situazione dell’America". Una conclusione da applausi.

Giulia Beneventi