Vertinelli, la Cassazione respinge il ricorso

I beni di valore milionario, sequestrati alla famiglia in odonre di ’ndrangheta, rimarranno saldamente nelle mani dello Stato italiano

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di Alessandra Codeluppi

Quei beni di valore milionario, sequestrati a una famiglia in odore di ‘ndrangheta, rimarranno dove tuttora si trovano, nelle mani dello Stato. La Cassazione ha dichiarato inammissibili i ricorsi presentati dai fratelli Palmo e Giuseppe Vertinelli, e dai loro familiari, che a Montecchio avevano la base del loro impero ecomomico.

Palmo, 59 anni, è stato condannato nel primo grado di ‘Aemilia’ a 13 anni e 9 mesi in ordinario e a 16 anni in abbreviato; un solo mese in più in ordinario, e stessa pena in abbreviato, anche per il fratello 58enne Giuseppe. Condanne anche per la moglie di Giuseppe, la 53enne Giovanna Schettini (6 anni e 11 mesi), per quella di Palmo, la 52enne Antonietta Bramante (6 anni e mezzo); oltre ad Antonio Vertinelli 1990 (4 anni e mezzo) e Giuseppe Vertinelli 1986, figlio di Palmo (6 anni e 11 mesi). Con un provvedimento del tribunale di Bologna datato 15 maggio 2017, si dispose la misura di sorveglianza speciale con molteplici prescrizioni per cinque anni per Palmo Vertinelli, la confisca di beni suoi e in sua disponibilità e la nullità degli atti di intestazione delle partecipazioni societarie di una serie di compagini sociali, immobili e rapporti bancari. Il patrimonio, valore 10 milioni, finito sotto sequestro nel 2015, è costituito da appartamenti e capannoni a Montecchio, Gattatico e Parma, dalla quota del ristorante ‘Millefiori’ di strada Calerno a Montecchio, un terreno nel Crotonese, partecipazioni societarie e veicoli, tutto quanto ricondotto a Palmo Vertinelli.

Lui e i cinque parenti impugnarono la sentenza, ma la corte d’Appello, con provvedimento del 23 settembre 2019, rigettò. La famiglia si rivolse poi alla Cassazione - la corte era presieduta dal giudice Giovanni Diotallevi - che ha giudicato "inammissibili" i loro ricorsi, accogliendo la domanda avanzata in aprile dal sostituto procuratore generale Elisabetta Cesqui. Alla requisitoria le difese avevano replicato con una memoria depositata in settembre, in cui si sosteneva che le conclusioni della Procura generale non fossero conformi ai principi della Suprema corte sulla confisca di strutture imprenditoriali complesse riconducibili a persone sospettate di partecipare a un’associazione mafiosa. Su Palmo Vertinelli, la Cassazione, richiamando anche la sentenza ‘Aemilia’ di primo grado, scrive: "I giudici dell’Appello hanno meticolosamente scandagliato le numerose e qualificate fonti che hanno tracciato un quadro del tutto univoco della sua attività e delle sue stabili relazioni con personaggi di primario spessore nel panorama mafioso, che gli avevano consentito un vantaggio derivante dalla protezione data dalla consorteria mafiosa.

Come ricostruito dai giudici di merito, fin dagli anni Duemila la storia degli appalti, la dimensione degli affari, la disamina delle compagini societarie a cui lui partecipò offrono materiale che denota l’intimo circuito mafia-affari: sulla provenienza illecita dei cespiti aggrediti, ci si spinge ben al di là della soglia della sufficienza indiziaria". Bocciata anche la tesi dei parenti secondo cui non vi sarebbe stata prova della riconducibilità dei beni - Millefiori sas e srl, bar Tangenziale nord Est di Giuseppe Vertinelli 1986 sas, aziende agricole a Crotone-fondo Prestica, complesso immobilare in strada Calerno a Montecchio - a Palmo Vertinelli, indicato dai giudici come "sostanziale dominus" dei beni intestati ai familiari, in mancanza di una loro capacità patrimoniale: cosa accertata, sottolinea la Cassazione, in modo "granitico" da documenti, intercettazioni, testimonianze dei pentiti Giuseppe Giglio e Antonio Valerio e anche intercettazioni per la società Millefiori srl, "stabilmente asservita alla cosca per il reimpiego dei proventi".