Lascia il calcio a 48 anni tra lacrime e ovazioni

Denis Salvini: "Ho parato per un trentennio, con 930 convocazioni dalla Serie D alla Terza. Mi sono allenato sei mesi con la Reggiana"

Lascia il calcio a 48 anni tra lacrime e ovazioni

Lascia il calcio a 48 anni tra lacrime e ovazioni

Solo con una passione con la "p" maiuscola puoi mettere insieme i numeri di Denis Salvini, 48 anni, che dopo una vita passata coi guantoni tra i pali di tutta la provincia ha deciso di lasciare il calcio giocato.

Sono 31 anni di carriera, trascorsi in oltre 30 squadre. Ben 930 convocazioni tra Serie D e Terza categoria, con 450 presenze da titolare.

Denis Salvini, partiamo da domenica: il suo Montecavolo (Seconda categoria) gioca in casa col Rapid Viadana (reggiani kappao per 3-2) e…

"...ammetto di aver pianto più volte. Ho giocato titolare con la fascia da capitano, ma non mi sarei mai aspettato che, al momento della sostituzione nel secondo tempo, il numerosissimo pubblico mi avrebbe regalato una standing ovation simile. In tribuna c’erano anche mia moglie Sara e mia figlia Mia: erano super emozionate".

Oltre agli applausi c’è stato altro?

"Si erano organizzati tutti, e quando ho lasciato il campo mi hanno applaudito anche il Viadana e l’arbitro: cinque minuti lunghissimi. Non mi sarei mai aspettato un calore simile. Devo ringraziare di cuore i miei compagni del Montecavolo per tutto quello che hanno fatto".

C’erano anche striscioni accompagnati da cori.

"Sentivo acclamare il mio nome. Meglio di così il mio percorso non poteva terminare, in tutti i sensi. Ho finito la carriera con due carissimi amici: il mister Stefano Lamanda e l’allenatore dei portieri Alex Caselli, che conosco da 40 anni. Meglio non poteva essere".

Riavvolgendo il lungo nastro troviamo un po’ di Reggiana.

"Vero, posso dire di aver trascorso 180 giorni nei professionisti, sfiorando una convocazione. Andavo spesso ai campi della Reggiana, e così è nata l’esperienza più emozionante della mia carriera. Ero fermo, e chiesi di potermi allenare con loro: l’allenatore era Adriano Cadregari, i portieri Mondini e Nuzzo: era il 2002 e la Regia era in C1. In rosa c’era pure Roberto Goretti. Mi vanto di aver lavorato con Massimo Battara, che dal 2018 al 2023 è stato l’allenatore dei portieri della Nazionale di Roberto Mancini".

Tornò in pista, cambiando spesso squadra.

"Sono veramente tante. Ne cito qualcuna giusto per fare nomi: il Castellarano in D, il Bibbiano in Promozione, l’Arcetana in Eccellenza, poi Calerno, San Martino, Vicofertile, Gattatico, Masone, Santos, Vianese, Ciano…".

Qual è il momento che ricorda con più piacere?

"Dopo il Covid abbiamo vinto il campionato di Prima col Vicofertile perdendo solo una partita. Il mister era Gianluca Zambrelli, uno tra i più carismatici che abbia mai avuto. È stata un’esperienza totalizzante sotto ogni aspetto".

Il momento più duro?

"Qualche incomprensione con un allenatore dei portieri. Non nego che in quel momento il pensiero di smettere l’ho avuto. Poi ho cambiato squadra e la scintilla si è subito riaccesa".

Chi gioca in porta è facile che inizi ad allenare i portieri nelle giovanili. È così anche per lei? "Indovinato. Alleno da due anni nel settore giovanile della Juventus Club Parma, sia maschile che femminile. Stiamo lavorando tanto e credo bene".

Prima ha citato la famiglia: la moglie Sara e la figlia Mia. Qual è il loro rapporto con la sua passione?

"Le dico solo che tra i portieri che alleno alla Juventus Club c’è mia figlia Mia. Sono veramente orgoglioso, perché lei, 13enne, ha iniziato in un modo particolare. Durante il Covid mi tenevo in forma a casa, e lei mi diceva: ’Papà posso lanciarti io la palla?’. In sostanza mi allenava lei. Poi ha iniziato a mettersi i guantoni, ad osservarmi, e posso dire che si è appassionata grazie al papà. È meraviglioso".

Com’è allenare una figlia?

"Sono molto esigente. Lei fa tante domande, vuole consigli…e poi è molto alta! Ha le idee chiare: sogna la Nazionale".

E lei Denis come ha iniziato a giocare in porta?

"Ogni volta che me lo chiedono mi viene la pelle d’oca perché ricordo quel momento come fosse ieri. A sei anni giocavo all’Ambrosiana di Rivalta. Si fece male il portiere e c’era un rigore da affrontare. Mi offrii volontario. Guanti ben saldi, e parai il penalty. Da quel momento fu grande amore…".

Dove ha proseguito le giovanili?

"Nella Vigor Prater e poi nella Pieve Landi, col debutto in Promozione a 17 anni. Ricordo con grande affetto il maestro Adelmo Iori e anche Celso Menozzi che era mio zio: persone fondamentali per la mia crescita".

Nel suo cammino c’è addirittura il re dei numeri 1: Gianluigi Buffon.

"Mia figlia ha fatto esperienze con la ’Buffon Academy’ e agli allenamenti c’era lui. Quando lo incontrai ero più emozionato io di Mia: Gigi è un’icona. Parlammo tanto e mi disse: ’Non devono essere gli altri a dirti di smettere, non deve essere un infortunio e nemmeno una pandemia: devi essere tu quando lo sentirai dentro’".

Possiamo dire che sia andata così?

"Decisamente. Anzi: ringrazio tutte le persone che hanno creduto in me, ma anche quelle che non lo hanno fatto perché mi hanno dato la forza per dimostrare che non ero un fallito e per continuare fin quando volessi io".

Ci sarà ancora calcio nel suo futuro?

"Ho due obiettivi: allenare i portieri in Eccellenza, una categoria che mi piace molto e quelli di una Serie B o C femminile, movimento in grande crescita".

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