Rimini, 8 settembre 2010 - La bandiera di guerra sarà ammainata martedì 21 settembre. Una data che diverrà storica per la città: dopo 54 anni da quel luglio del 1956 quando la 5a Aerobrigata (poi 5° Stormo) si trasferì a Rimini, l’aeronautica militare lascia definitivamente l’aeroporto.
Si trasferiscono a Cervia sia i mezzi e i circa 120 uomini dell’83° Sar, con gli elicotteri HH-3F utilizzati per ricerca e soccorso in mare e in montagna, sia gran parte dei 140 militari del Distaccamento dell’aeronatica militare. Il Sar si sposterà a Cervia con il Comando di Stormo, che si trasferirà da Pratica di Mare.

"Resterà a Rimini parte del personale del Distaccamento addetto alla torre di controllo, al servizio Romagna Radar, alla stazione metereologica", spiega il capitano Orlando Bellecchi. Un periodo di 'interregno' gestionale che dovrebbe durare un paio d’anni, tempo dopo il quale onori ed oneri del servizio, utilizzato soprattutto dagli aeroporti civili romagnoli, passeranno in carico all’Enav, l’ente nazionale assistenza al volo.
Resta naturalmente il «Villaggio azzurro», creato intorno agli anni Sessanta per accogliere gli aviatori di stanza a Rimini. Che all’epoca, nel periodo della guerra fredda, era un obiettivo sensibile contro il quale il Patto di Varsavia puntava le proprie testate nucleari, come accertato dopo l’apertura degli archivi di Stato a Budapest.
Rimini era obiettivo Nato sensibile al pari di altre basi aeree italiane che ospitavano gruppi di volo con capacità strike: in grado cioè di sferrare attacchi nucleari all’Est.

A Rimini erano pronti a decollare i cacciabombardieri h/24 ognitempo speciali (ben 18 F-104G) muniti di ordigni atomici. Ventidue i piloti abilitati alle missioni strike, quelle degli «attacchi tattici nucleari», grazie a Dio mai attuate. Fino al 1991 quattro bunker sotterranei nella base (non nelle viscere di Coriano, come si credeva un tempo) custodivano una trentina di bombe B61, poi rispedite a tranche negli Stati Uniti. Nel periodo più caldo della guerra fredda, da fine anni Cinquanta, a Rimini erano operativi circa duemila militari dell’aviazione. Più un numero variabile, mediamente sulle 150 persone, di militari statunitensi della Nato, coi loro aerei. A differenza dei colleghi italiani, gli americani - contro i quali si svolsero anche manifestazioni di protesta negli anni Sessanta: «yankee go-home» l’urlo dei pacifisti - vivevano quasi tutti all’interno dell’aeroporto. A Rimini era cosa normale veder transitare le grandi auto made in Usa con le strane targhe Afi, Allied Forces Italy. Erano quelle del personale addetto alla sicurezza degli ordigni, all’addestramento del personale italiano e addetto in seguito a fornire supporto ai Phantom e agli F-111 rischierati a Miramare. Centinaia di ragazzi riminesi - e naturalmente di altre regioni - hanno prestato servizio militare all’aeroporto di Rimini. L’aviazione militare ha favorito fortemente il decollo dell’aeroporto civile. E costituito un forte indotto per il tessuto economico della città. Restano a Rimini gli elicotteristi del Vega, il 7° Reggimento Cavalleria dell’aria dell’Esercito.