"Cari riminesi, da oggi sono uno di voi"

Il vescovo Francesco Lambiasi è stato insignito della cittadinanza onoraria: "Sogno una comunità fatta di pace e accoglienza"

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Il vescovo Francesco Lambiasi è stato insignito della cittadinanza onoraria di Rimini dal consiglio comunale, al Teatro Galli. La cerimonia si è aperta con un minuto di silenzio per il femminicidio avvenuto nel pomeriggio in via Dario Campana. "Al mio arrivo a Rimini – ha detto il vescovo – molte persone mi augurarono in dialetto riminese Tin bòta! Mi feci spiegare il significato, che mi risuonò immediato e molto simpatico. Ora, a pieno titolo, lo ricambio a tutta la cittadinanza: Rimini, tin bòta!" Monsignor Lambiasi ha esordito con un "grazie per il dono inatteso ma molto gradito. Cari concittadini riminesi, da oggi sarò uno di voi".

Il vescovo è partito dalla nomina di 15 anni fa ad opera di Papa Benedetto; ha citato i "molti semi di santità" cresciuti a Rimini, citando Alberto Marvelli, don Oreste Benzi, Sandra Sabattini. Ha detto ai riminesi "avete inventato un modello di turismo a misura di famiglie. Siete franchi e schietti, infiammabili e gioviali, ardenti e arditi". E ha ricordato le sue origini, "padre muratore e madre casalinga, terzo e ultimo figlio, dopo due sorelle più grandi", nato in un piccolo paese, Bassiano, provincia di Latina. Ha brevemente ripercorso i propri "quasi 75 anni", l’ordinazione a prete a 24 anni. Infine, forse inatteso, il "sogno che vorrei regalare a tutti i cari concittadini riminesi". Declinato nel segno della pace, della solidarietà e dell’integrazione sociale.

"Sogno una Rimini città di pace", ma "non si può costruire la pace senza una effettiva ed efficace educazione, a partire dalle generazioni più giovani, ad una ’vita buona’, alla nonviolenza, ad una esistenza che punti sulla relazione positiva con l’altro. Pertanto non possiamo non ritornare con il pensiero alla Fiera Hit Show. In essa vengono esposte tutte le tipologie di armi, escluse quelle definite ’da guerra’. Ma con una possibilità di accesso consentito a tutti, minori compresi, invece che ai soli operatori di settore. Permettetemi di incoraggiare i responsabili a ricondurre tale delicata questione nel filone della buona politica che non educa all’idea del nemico e non apre a forme di giustizia privata con l’utilizzo delle armi". "Sogno una Rimini città della solidarietà", ha aggiunto, dove "il virus di una premurosa, gratuita accoglienza si possa diffondere molto di più di qualsiasi pandemia. Sappiamo che tante famiglie riminesi continuano a dare ospitalità a donne e bambini ucraini in fuga dalla guerra, come ce ne sono altre che accolgono persone fuggite da altri Paesi, per poter avere un futuro qui da noi. L’accoglienza è un gesto ammirevole e deve essere aperto a tutti i rifugiati".

Lambiasi ha ricordato l’impegno durante "il terribile flagello della pandemia che ha afflitto la nostra città, più che in altre della regione"; lodato la Rimini del volontariato: "da noi si possono stimare circa 10mila cittadini che dedicano tempo agli altri. Si contano anche 72 Cooperative sociali, con 3.600 dipendenti, di cui 900 lavoratori svantaggiati, di tutte le categorie". Infine: "Sogno una Rimini che sia città di integrale umanità. Una città in cui nessuno debba essere e sentirsi escluso". "Che rimuova la vergogna di un campo nomadi abusivo", "che riconosca lo jus culturae a tutti i bambini che nascono e crescono nel suo territorio; "che cancelli la piaga della violenza, in particolare contro le donne e che neppure un caso di femminicidio si debba più verificare in città. Analogo discorso va fatto per le donne vitime dello squallido fenomeno della prostituzione e delle vittime della tratta".

Mario Gradara