
Anche il bar Bigno nel mirino della Finanza (Petrangeli)
Rimini, 2 ottobre 2020 - La ‘bomba’ è scoppiata alle sei e mezza di ieri mattina. Quando la Guardia di finanza ha messo contemporanemente i sigilli a Bigno, Ottoemezzo e Autobar, i tre locali della famiglia Lunedei, a cui sono seguite perquisizioni a tappeto.
Tre bar storici, due a Rimini e il terzo a Santarcangelo, sequestrati dalle Fiamme Gialle, oltre a 400mila euro di conti correnti, per un’evasione fiscale pari a un milione e 300mila. Gli indagati principali sono Stefano Lunedei, 61 anni, santarcangiolese, i figli Andrea e Alessandra, di 27 e 31, e la moglie, Stefania Molino, 58.
A cui si aggiungono altre cinque persone, intestatari fittizi di società, arruolati fra nullatenenti e pregiudicati. Per i tre locali il giudice ha nominato subito un amministratore giudiziario, Umberto Maria Ferraiolo.
"Abbiamo già riaperto Ottoemezzo – dice Ferraiolo – e cercheremo di fare la stessa cosa al più presto anche con le altre strutture, salvaguardando per quanto è possibile i dipendenti. Ovviamente dopo verifiche amministrative".
‘Operazione Paper moon’. Così i finanzieri del Nucleo di Polizia economico finanziaria, hanno battezzato l’inchiesta, coordinata dal sostituto procuratore, Luca Bertuzzi, che secondo la ricostruzione fatta dagli investigatori ha svelato una frode fiscale messa a punto dai Lunedei con un meccanismo ingegnoso, anche se la ‘mente’, dicono, sarebbe quella del capo famiglia, Stefano.
Le indagini, partite meno di due anni fa da una serie di controlli sulle emissioni di scontrini, alla fine avevano rivelato un panorama di tutt’altro spessore. Lo schema della ‘galassia’ Lunedei svelato dagli investigatori era quello di aprire società con cui venivano gestiti i bar, operativi 24 ore su 24 e che includevano anche ristorazione, tabacchi e slot-machine.
Le società in questione, secondo il quadro ricostruito dai finanzieri, accumulavano nel tempo debiti tributari, evitando di presentare le dichiarazione dei redditi o utilizzando fatture false per abbattere gli imponibili. Quando le società avevano accumulato buchi consistenti, venivano venduti i rami aziendali più produttivi ad altre ditte, queste intestate a prestanome ‘puliti’, ma sempre riconducibili alla famiglia.
Passato qualche mese o qualche anno, i Lunedei li riaquistavano, gestendo alla luce del sole quello che fino a quel momento avevano amministrato in maniera occulta. Le società ormai svuotate dai settori produttivi, venivano invece cedute a nullatenenti o pregiudicati che non avevano nulla da perdere, e inevitabilmente andavano a morire con tutti i debiti tributari e le pendenze.
Così da rendere inutili eventuali procedure di riscossioni coatte da parte dell’Erario. Un sistema che gli inquirenti hanno messo insieme grazie a indagini finanzierie e bancarie, e a un bel po’ di intercettazioni telefoniche. Conti alla mano, il sostituto procuratore Bertuzzi, ha chiesto e ottenuto dal gip, Manuel Bianchi, il ‘divieto di esercizio dell’attività imprenditoriale’, nonchè il sequestro preventivo per equivalente di beni e soldi.
Ieri mattina , i militari del Nucleo, insieme ai colleghi del Gruppo, oltre a far scattare i sigilli nei tre bar (per un valore di circa 950mila euro) hanno effettuato anche undici perquisizioni in locali, appartamenti e nella sede amministrativa dell’azienda madre. Quindi sono andati negli istituti di credito, sequestrando anche parte dei conti correnti dei singoli, fino a raggiungere la cifra quantificata dell’evasione, quel milione e 300mila euro appunto che al fisco non è mai arrivato.