La dengue fa paura: "Zanzare pericolose, rischio casi dal Brasile. Bisogna proteggersi"

Vittorio Sambri, responsabile del laboratorio analisi di Pievesestina avverte sulla malattia: "Escludere importazioni dal Sud America è un azzardo epidemiologico, ma abbiamo anche contagi endemici".

La dengue fa paura: "Zanzare pericolose, rischio casi dal Brasile. Bisogna proteggersi"

La dengue fa paura: "Zanzare pericolose, rischio casi dal Brasile. Bisogna proteggersi"

"Attenzione, le zanzare non sono solo fastidiose, possono rappresentare un pericolo mortale". Lo ricorda il professor Vittorio Sambri, microbiologo, responsabile del laboratorio analisi di Pievesestina, l’hub di sequenziamento di tutte le malattie infettive della regione Emilia-Romagna. A Pievesestina, il virus del Covid, che continua ad essere un ospite tutt’altro che sporadico, si contende l’attenzione con gli arbovirus: le malattie trasmesse da vettori artropodi (arthropod-borne virus, ossia da zanzare, zecche e flebotomi). E qui l’attualità fa un balzo poiché sta terrorizzando il mondo la diffusione della febbre dengue che in Brasile ha già fatto 2,5 milioni di contagi e quasi mille morti.

Ci risiamo, si parla di nuovo di rischio pandemia. Che succede professor Sambri, può arrivare anche da noi?

"Escludere che dal Brasile non arrivi neppure un caso è un azzardo epidemiologico che non mi sento di sostenere. L’anno scorso in Italia sono stati diagnosticati 82 casi di dengue. Ma non si trattava di persone che erano state all’estero, bensì soggetti punti da vettori, ossia zanzare, che vivono qui. Con le coordinate epidemiologiche che ci siamo dati come gruppo di ricerca, possiamo dire che non sono meno di duemila i casi reali. Abbiamo una forma di dengue endemica, quindi. Non siamo in Brasile ma bisogna cominciare a proteggersi".

Come ci si protegge?

"Nel modo tradizionale: attraverso i repellenti e cercando di evitare in qualunque modo di essere punti. Mica voglio fare la Cassandra, ma la zanzara non può essere considerata solo una scocciatura, bensì un rischio. E non sappiamo quanto questo rischio sarà grave quest’anno".

C’è altro nell’ambito degli arbovirus che ci riguarda?

"Abbiamo qualche dato che indica che in Emilia-Romagna è endemico il virus west nile. E’ stato riscontrato in alcuni uccelli morti a gennaio e dunque non migrati da zone endemiche. Le zanzare che li avessero punti sarebbero state in grado di contagiare l’uomo. E’ così che il virus comincia a girare. Notare che il contagio da west nile non sempre provoca febbre, ma nell’1% dei casi può causare encefalite severa con mortalità consistente in persone ultrasettantenni".

Cosa state facendo a questo proposito a Pievesestina?

"Proseguiamo con un progetto finanziato dal Pnrr che studia tutte le malattie infettive emergenti e riguarda, anche, l’identificazione epidemiologica degli arbovirus a livello nazionale. Si chiama C.arbo.seq. Individuiamo casi arbovirali sospetti, isoliamo il virus, lo sequenziamo e lo mettiamo a confronto con quelli che girano in altre aree. Ma abbiamo anche identificato l’agente eziologico in un paziente con meningite che ci ha sorpreso: un fungo delle piante, il micosferella. Mai evidenziato finora".

E’ da questi studi che potrebbe emergere quel virus capace di innescare una nuova pandemia?

"E’ matematico, siamo in troppi al mondo. Stiamo esaurendo le risorse e viviamo a contatto con tutti i virus. E’ dabbenaggine pensare che non succeda. Ma perché spaventare la gente? E’ un messaggio che per il momento deve restare tra gli addetti ai lavori. Di pandemia strisciante ce ne abbiamo già una".

E quale sarebbe?

"Quella da resistenza agli antibiotici. La previsione americana del 2016 era di avere, nel 2050, 10 milioni di morti per malattie infettive da germi poliresistenti che, se non si abusasse ingiustificatamente degli antibiotici rendendo resistenti i soggetti, sarebbero guaribili. Ma già nel 2023 si parlava di 5 milioni di morti effettivi".