DONATELLA FILIPPI
Cronaca

Macina, il genio andato al Diavolo: "Potevo essere come Messi"

Al Bologna era più bravo di Mancini, pupillo di Liedholm al Milan. Ha smesso a 26 anni. "Lavoro nel turismo"

È l’unico calciatore sammarinese, insieme a Massimo Bonini, ad aver toccato con mano la serie A. Talento allo stato puro, tanto che Roberto Mancini, suo coetaneo e compagno nelle giovanili del Bologna, di lui ha sempre detto che sarebbe potuto diventare Messi. Il più forte di tutti nel calcio di casa nostra dei primi anni ’80. Ora, a 59 anni, Marco Macina ha deciso di raccontare in un libro i perché quella storia di pallone, la sua storia, non abbia avuto un lieto fine. Il perché sia finita in fretta.

Troppo in fretta. Macina, solo sfortuna?

"Forse no, ma sicuramente ci sono stati dei momenti chiave nel mio percorso nei quali le cose non sono girate nel verso giusto. Non per colpa di qualcuno, forse nemmeno solo per sfortuna. Ma è andata così".

A 14 anni lascia la piccola San Marino per inseguire un sogno. In fin dei conti ‘Era il più forte di tutti’ come recita il titolo del suo libro, giusto?

"Avevo del talento, una cosa innata, di quelle che non si insegnano e nemmeno si imparano. Il padre di un mio amico, tifosissimo dell’Inter, decise di scrivere a Mazzola dicendogli che a San Marino c’era un ragazzino che era un fuoriclasse".

Mazzola rispose?

"L’Inter mi convocò per un provino, ma non ci andai. Presi un’infezione".

Prima ’sliding door’ sfortunata?

"Fortunato non sono stato, questo è certo. Mi prese il Bologna e lì sono stato benissimo, lo voglio sottolineare subito. Ma probabilmente se fossi stato chiamato dall’Inter in età più matura avrei avuto una consapevolezza diversa. Sarebbe stato tutto più facile".

Dal torneo dei Castelli di San Marino al grande calcio lontano da casa. Un salto troppo grande?

"Ero giovanissimo, forse troppo. A Bologna eravamo in un convitto dove c’eravamo soltanto io e Mancini di quell’età lì. Capisce che le difficoltà c’erano. Ho saltato dei passaggi, mi è arrivato tutto addosso troppo presto".

Insopportabile il peso delle aspettative?

"Un insieme di cose, non si trattò solo di non sopportare le pressioni. Ero uno dei più forti al mondo e lo dico senza presunzione. Un dirigente della Nazionale italiana un giorno mi disse che ero più forte dei fortissimi" Poi cos’è successo?

"Dal Bologna sono passato all’Arezzo e da lì al Parma in serie B. Avevo 20 anni. Una stagione decisiva nella quale passò un altro treno importante".

Lo ha perso?

"A novembre mi prese il Milan, ma a Milano non ci potei andare subito perché avevo già fatto due trasferimenti. Il Milan non aveva attaccanti quella stagione. Ne aveva di decisamente forti, invece, quella successiva quando in rossonero ci arrivai veramente. Paolo Rossi, Hateley e Virdis...".

Liedholm, allora allenatore del Milan, disse di lei che era "un giocatore più veloce con la palla tra i piedi che senza, mai visto uno così".

"Stravedeva per me. Ma, ripeto, la competizione era altissima. Ci fossi arrivato l’anno prima a Milano forse sarebbe stato tutto diverso".

Due stagioni dopo lasciò il calcio, a 26 anni. Rimpianti?

"Un infortunio quando giocavo ad Ancona cambiò ancora una volta le carte in tavola. Qualche rimpianto ce l’ho, sì, come è normale che sia. Probabilmente se tornassi indietro farei scelte diverse, soprattutto negli ultimi anni. Lavoro all’Ufficio del Turismo di San Marino da quasi 20 anni, ho preso un’altra strada. Serenamente".