"Mio padre morto di Covid per curare i pazienti. Ma lo Stato ci nega il risarcimento"

Maurizio Bertaccini fu il primo medico stroncato dal Covid nel Riminese. La figlia: "Vittima due volte, della pandemia e dell’ingiustizia"

Maurizio Bertaccini insieme alla figlia Chiara nel giorno della sua laurea

Maurizio Bertaccini insieme alla figlia Chiara nel giorno della sua laurea

Rimini, 13 febbraio 2022 - E’ come se suo padre fosse morto due volte. "La prima per il virus nell’aprile del 2020, e la seconda adesso per colpa dello Stato". Già perché il Senato ha respinto l’emendamento che assegnava i ristori ai familari dei medici uccisi dal Covid. Per il momento non se ne farà nulla. Se ne riparlerà, forse, più avanti. "E’ un’ingiustizia. Di più, una vergogna. Provo tanta amarezza in questo momento", ammette Chiara. E’ una delle figlie di Maurizio Bertaccini, il medico di base di Coriano morto per Covid il 14 aprile del 2020. Maurizio aveva 68 anni, è stata la prima vittima nel Riminese tra i camici bianchi. "La sua scomparsa – continua la figlia – ha lasciato un vuoto immenso in noi familiari e in tutta la comunità di Montetauro (di cui la famiglia Bertaccini fa parte). E fa rabbia pensare che non ci sarà nemmeno un risarcimento economico, nonostante mio padre sia stato contagiato e ucciso dal virus nell’esercizio del suo lavoro".

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Come ha contratto il virus suo padre? "Sicuramente da uno dei pazienti che ha visitato. Ne siamo certi. E’ stato l’unico nella nostra famiglia a prendere il Covid nella prima ondata, e lui in quel periodo usciva solo per andare a visitare i suoi pazienti. Stava bene prima di restare contagiato: sicuramente è stato il virus a ucciderlo. Uno dei rimpianti che ho è stato quello di non poterlo vedere. E’ stato ricoverato in ospedale a fine marzo, e dopo alcuni giorni ci sono finita anche io per partorire mio figlio. Eravamo in reparti vicini, ma non ho potuto salutarlo un’ultima volta".

Come famiglia non avete ricevuto fin qui nessun indennizzo, nemmeno dalla cassa sanitaria? "No. Mio padre, come tutti i medici di base, aveva una gestione separata. Se fosse stato un diretto dipendente dell’Ausl, sarebbe stato diverso. E pensare che lui, all’epoca, è stato uno dei pochi a continuare a visitare i suoi pazienti. In quei mesi del virus ancora si sapeva poco e nulla, e mancava tutto: le mascherine, le terapie. Ecco perché fa ancora più rabbia il fatto che venga negato un risarcimento".

Spera in un ripensamento del governo? "Me lo auguro. E non solo come gesto simbolico. Io sono sposata, ho la mia vita, ma in famiglia siamo 6 figli naturali e uno adottivo e naturalmente c’è mia madre Maria. Lo Stato dovrebbe tutelare i sanitari e le loro famiglie, e non abbandonarli al loro destino. Li hanno chiamati eroi, e mio padre è stato veramente un eroe, e non solo in quei giorni terribili. Lui c’era sempre, per tutti: come medico, come marito e padre, come membro della comunità di Montetauro. A due anni dalla sua morte, ci sono ancora tante persone che lo ricordano con grande affetto per quanto è riuscito a fare".

L’anno scorso a Coriano è stata intitolata a lui la Casa della salute. Un gesto che vi ha reso orgogliosi? "Molto, ma sapevamo già prima quanto valeva. Le iniziative come questa fanno piacere, poi ti rendi conto però che a gesti simbolici non seguono azioni concrete. Nessun ristoro, nessun riconoscimento per i familiari di chi è morto sul campo, combattendo il virus in prima linea. Non ne faccio una questione economica, sia chiaro, ma solo di principio. Mio padre Maurizio è morto perché si è contagiato sul lavoro, perché non ha mai smesso un giorno di pensare ai suoi pazienti. Vogliamo soltanto giustizia".