Stupro di Rimini, il padre dei due fratelli reo confessi. "Ora devono pagare"

ESCLUSIVO / Mohamed: "Ho riconosciuto i miei figli dalla foto pubblicata dal vostro giornale e li ho costretti a costituirsi" Il racconto dei minorenni: "Eravamo pieni di alcol e droga"

L'arresto dei tre minorenni del branco

L'arresto dei tre minorenni del branco

Vallefoglia (Pesaro), 3 settembre 2017 - Mohamed è marocchino, ha 51 anni, 4 figli, fa il saldatore, la moglie lo chiama, esce in ciabatte sul terrazzo della casa fornita dal Comune di Vallefoglia, dove lui abita. Proprio sotto, scorre il fiume. La figlia piccola, 3 anni, gli passa e ripassa tra le gambe. A terra ci sono giocattoli, sotto le scale il telaio smontato d’una bici da corsa.

Mohamed, come ha saputo dei suoi figli? «Quello più grande, che ha 17 anni, è venuto a casa oggi, che piangeva».

Perché? «Mi ha detto che lui era con suo fratello, l’altro mio figlio di 15 anni, e altri due loro amici, un nigeriano e un congolese, a Rimini. Hanno partecipato allo stupro di cui parlano da giorni il telegiornale e il vostro giornale».

Cosa le ha detto di preciso suo figlio? «Che quello maggiorenne li ha costretti ad andare a Rimini, che gli prometteva i soldi se loro magari rubavano qualche cellulare e poi lo rivendevano a lui. Che li ha fatti bere, una birra in un locale, una in un altro...».

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Lei come ha fatto a sapere che erano davvero loro? «Li ho riconosciuti, dalle foto sul vostro giornale... come camminavano». 

A quel punto cosa ha fatto? «Gli ho detto di andare subito dai carabinieri. Non voglio che i miei figli facciano queste str..., può capitare che uno rubi un telefonino, ma non che uno violenta una donna. Se hanno fatto una cosa del genere, devono pagare».

Ma i suoi figli, in dettaglio, cosa le hanno raccontato di quella notte? «Il maggiore mi ha detto che il congolese ha puntato la ragazza polacca, e gli ha detto a loro ‘A questa ci penso io...’. Il congolese la picchiava, le tirava gli schiaffi, lui ha provato a dirgli ‘Lasciala fare, perché fai queste cose’, ma poi l’ha trascinata lontano da loro e ha continuato». 

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Ma lei non si è accorto di nulla, in tutti questi giorni? «La mattina dopo la nottata di Rimini i miei figli dormivano tutti e due fuori, in terrazzo, così li ha visti l’educatrice del Comune, che tra l’altro ho anche mandato via... Io però me lo sentivo che era successo qualcosa di grosso». 

E cosa ha detto oggi, quando ha capito che erano loro? «Che dovevano dire la verità e che non dovevano stare zitti per una settimana intera. E che sono stati fortunati. Io lo so come funziona il giro. Gli errori li ho fatti anch’io. Mi sono ubriacato, ho rubato, ho fatto risse. Quindi, primo, con la transessuale hanno rischiato, perché potevano essere rintracciati dal protettore. Ma poi hanno rischiato anche per la violenza alla donna polacca. Perché, lo dico chiaro, se qualcuno violenta una delle mie donne, mia moglie o mia madre o mia figlia, io lo ammazzo. E poi gliel’ho detto: cosa pensavate, che le persone che avete picchiato e stuprato fossero ricche, che ci facevate i soldi?».

Ma perché i suoi figli hanno aspettato una settimana per andare dai carabinieri? «Avevano paura». 

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Cosa fanno i suoi figli?  «Frequentano l’Alberghiero a Pesaro. Ma il minore ha dei problemi, è invalido all’80%, anche per questo viene l’educatrice. Credo che a lui il congolese gli abbia fatto un lavaggio del cervello». 

Dove e quando hanno conosciuto il congolese? «Da un paio di mesi. Tramite un loro amico nigeriano (il terzo arrestato, ndr), uno che abita a Pesaro. Frequentano tutti piazzale Matteotti (dietro il liceo classico già ritrovo di piccoli spacciatori, noto alle forze dell’ordine e ripulito di recente, ndr). 

Quando pensa che rivedrà i suoi figli? «Non lo so. Sono distrutto, le cavolate le ho fatte anche io, ma non ho mai fatto male a nessuno, questa è una cosa grave». 

Non siete una famiglia povera. «Io ai miei figli ho dato sempre tutto. Quando riuscivo a lavorare, e quando tornerò a farlo, prendevo bene, compresi gli assegni famigliari. Gli compravo tutto quello che gli serviva. Li accompagnavo al campo di calcio. Volevo che mio figlio più grande facesse il carabiniere e a volte sognavo che giocasse al Milan, io ho giocato in serie A in Marocco, qui in Italia ho fatto l’aiuto all’allenatore a Scala alla Reggina. Si è rovinato tutto nel 2013, quando sono dovuto tornare in Marocco per un permesso di soggiorno che mancava. Ho perso il controllo sui miei figli. Mi sento un po’ in colpa». 

Ora lei cosa farà?  «Aspetto che mi telefoni il maresciallo».