"Il nostro Generale": a gennaio la serie Tv 40 anni dopo la tragedia

Otto puntate che ricorderanno la vita di Dalla Chiesa a partire dal 1973, quando fu trasferito a Torino. Una ricostruzione delicata e fedele che racconta non solo il Carabiniere ma anche l’uomo, il papà e il marito

Una foto di scena della serie di Lucio Pellegrini «Il nostro Generale»

Una foto di scena della serie di Lucio Pellegrini «Il nostro Generale»

Il 3 settembre del 1982 in via Carini a Palermo la mafia uccise il Generale Carlo Alberto dalla Chiesa con la moglie Emanuela Setti Carraro, e ferì in modo gravissimo l’agente di Polizia Domenica Russo che perse la vita 12 giorni dopo, senza mai riprendere conoscenza. Perché lo fece?

Per demolire un simbolo, per vendicarsi di un vecchio nemico ormai isolato, per fare un favore a qualcuno ben nascosto tra i poteri ufficiali del nostro Paese: ci sono svariate ipotesi, più o meno suffragate da intercettazioni, confessioni, interpretazioni che la distanza imposta dagli anni ci aiuta (o costringe?) a valutare in un insieme più vasto e complesso.

Ma una cosa è ormai certa: se la mafia uccise il generale per cancellarlo dalla vita del nostro Paese, ha fallito clamorosamente l’obiettivo.

Perché con quella crudeltà lo ha stampato nella memoria di chi c’era, e ha motivato in seguito la memoria, il ricordo, l’amore e il rispetto di chiunque abbia un minimo di interesse per la società civile italiana.

Che è una cosa così fragile la memoria, e in special modo quella collettiva. In fondo chissà se ci saremmo ricordati oggi di un ‘semplice’ vicecomandante generale dei Carabinieri, nemmeno troppo idolatrato da parte della sua stessa Arma in quegli anni, se avesse finito i suoi giorni sopportando piccole o grandi ripicche politiche e sgarbi di cancelleria assortiti.

Invece oggi, a quarant’anni dalla sua morte, siamo in milioni di cittadini a ricordarci di lui: perché tutto quel sangue ha evidenziato in rosso tutto il significato della sua vita.

Una vita che Carlo Alberto dalla Chiesa ha speso al servizio dello Stato che è anche il nostro: dalla seconda guerra mondiale alla Resistenza, dalla lotta alla mafia nella Sicilia del dopoguerra a quella contro il terrorismo degli anni ‘70.

Tra amarezze, disillusioni, dolori, sacrifici personali e familiari: e sull’uomo Dalla Chiesa anche queste esperienze lasciarono il loro segno.

Ma non cambiarono il suo carattere, la sua anima e la sua persona: Carlo Alberto dalla Chiesa conservò sino alla fine un senso dello Stato e del dovere che non possono fare altro che risvegliare la nostra ammirazione e gratitudine.

Per questo non c’è da stupirsi se oggi, dopo 40 anni da quelle morti orrende, parliamo ancora di lui e di quello che è capace di rappresentare.

Negli ultimi mesi si sono moltiplicate le iniziative culturali e sociali che vogliono ricordare il sacrificio suo e della giovane moglie Emanuela Setti Carraro, che al momento della morte attendeva un bambino. E anche quello di Domenico Russo, il poliziotto che ebbe ‘il coraggio di aver coraggio’ anche di fronte alla totale assenza della speranza di sopravvivere.

E’ appena uscito un libro pensato per i più giovani, una graphic novel di cui vi parliamo nelle ultime pagine di questo inserto; e ai primi di gennaio andrà in onda su Rai1 una fiction su Dalla Chiesa.

Intitolata ‘Il nostro Generale’, è una serie TV di Lucio Pellegrino che ne è anche regista insieme ad Andrea Jublin, scritta da Monica Zapelli e Peppe Fiore. Carlo Alberto Dalla Chiesa è interpretato da Sergio Castellitto.

Le otto puntate cominceranno a raccontare Dalla Chiesa a partire dal 1973, quando viene trasferito da Palermo a Torino e racconteranno la sua vita come ufficiale dei Carabinieri ma anche come uomo, marito e padre. Per realizzarle la produzione ha potuto contare sul contributo non solo dell’Arma dei Carabinieri, ma anche su quello dei figli del generale Rita, Nando e Simona.

Perché dopo 40 anni c’è ancora voglia di raccontare, e di ascoltare, chi fosse Carlo Alberto Dalla Chiesa.

Maria Cristina Magri