La Toscana trainata da un export di qualità

Le gelate primaverili e il gran secco estivo provocano un calo del 10% sulla produzione. E i rossi coprono l’87% del totale

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di Paolo Pellegrini

La gelata di aprile, con temperature dal segno meno anche sotto i cento metri di altitudine a Pasqua, e poi il gran secco dell’estate. A macchia di leopardo, è vero: ma nel complesso il Vigneto Toscana ha sofferto questa stagione strapazzata dal clima. Almeno sul piano della quantità: alla fine della vendemmia, la stima è di riuscire a mettere in bottiglia un 10 per cento in meno dell’anno passato, insomma non più di 2 milioni di ettolitri. Siamo nell’ordine del 4-5% sul totale della produzione italiana, certo poco di fronte a colossi come il Veneto, la Puglia, l’Emilia Romagna. Poi però si scopre che i numeri si ribaltano per esempio quando si va a leggere le cifre dell’export, esse pure contenute quest’anno come già nel 2020 per colpa della pandemia, e di una crisi che ha stentato a riprendersi. Ma la media toscana sul vino venduto all’estero resta superiore a quella nazionale, 523 milioni di euro per i 758mila ettolitri di soli vini a denominazione che nel 2020 hanno preso principalmente le strade di mercati extraeuropei.

Insomma, pur nei momenti di affanno, a salvare il Vigneto Toscana è ancora una volta l’altissima qualità dei suoi vini. Rossi, certamente: coprono l’87,95% (in condominio con i rosati) del prodotto a denominazione, ma ormai non si può trascurare la buona crescita dei bianchi, se il Vermentino ha raggiunto il quinto posto per estensione di vigne coltivate, con 1.749 ettari, ormai oltre il doppio di un bianco assai più storico come la Vernaccia di San Gimignano, ferma a 849 ettari, e con ormai nel mirino i 2.417 ettari del Trebbiano toscano.

Numeri lontani, per non dire lontanissimi, da quelli del re Sangiovese che di ettari ne copre 36.104, ma anche dai 4.474 del Merlot e dai 3.794 del Cabernet Sauvignon, che fanno il successo di zone come Bolgheri, o che comunque connotano da secoli l’area piccola ma ben storicizzata di Carmignano che il Granduca Cosimo III de’ Medici volle elevare al rango di denominazione ante litteram già nel 1716 insieme al Chianti, a Pomino e al Valdarno di Sopra.

Sta dunque nelle denominazioni, grandi e piccole, la forza del Vigneto Toscana. Sono 58, tra 11 Docg, ben 41 Doc e 6 Igt, a garantire al consumatore la forza della biodiversità e dell’identità di tanti piccoli e grandi territori: il Chianti Docg copre quasi il 50 per cento dei terreni – in tutta la regione la superficie vitata copre 60mila dei 70mila ettari destinati complessivamente alla produzione agroalimentare – e un terzo esatto del prodotto imbottigliato, mentre un altro terzo del vino è targato Igt; il Chianti Classico copre il 19% delle vigne da cui esce il 13% del vino. Staccati Bolgheri, il Morellino di Scansano e soprattutto il Brunello di Montalcino, che vale il 3,9 per cento del territorio e il 3,2% del prodotto. Ma è un’icona, per il Vigneto Toscano. Vale solo lo 0,2 per cento della produzione italiana, eppure in Italia è il vino più conosciuto, per un territorio che si circoscrive praticamente all’ambito di un solo comune. Ma che ha raggiunto negli anni quotazioni da capogiro: il valore patrimoniale delle vigne a Brunello si aggira intorno a 2 miliardi di euro, per comprare un ettaro a Montalcino oggi ci vuole quasi un milione di euro, con una crescita del 1962 per cento negli ultimi trent’anni da quando cioè è stata creata Benvenuto Brunello, antesignana delle ‘anteprime’ dei vini italiani, che in questi giorni celebra la sua stagione da ‘separata’ rispetto al ‘treno’ delle altre denominazioni, rimaste raccolte ai primi di febbraio. Montalcino tuttavia non è sola, nei vertici nazionali del valore dei vigneti, per quanto riguarda la Toscana, perché ormai anche a Bolgheri la quotazione dei filari raggiunge i 750mila euro a ettaro, mentre ce ne vogliono tra i 100 e 1 200 per un ettaro di Chianti Classico.

Luci e ombre, insomma, nel futuro delle quasi 13mila aziende vitivinicole toscane, in massima parte piccole – se non piccolissime – anche se la regione mostra poca dimestichezza con la cooperazione: solo 18 le cantine sociali, con 2.372 soci, a coprire appena un 20% del prodotto contro il 55 della media nazionale. Qualcuno si arrende: i siti immobiliari dedicati sono pieni di offerte di aziende in vendita, nel Chianti Classico i prezzi variano dal milione e mezzo ai 4,5-6,5 milioni secondo le dimensioni. Chi resta e continua ha a che fare con tante sfide. Quattro ne indica Giovanni Busi, presidente del Chianti Docg: fondi per la promozione all’estero; le devastazioni degli ungulati, cinghiali e caprioli; l’aumento repentino dei prezzi dovuto ai problemi climatici; la ripresa del mercato post pandemia. Un Vigneto che attende risposte.