Ancona, 24 settembre 2012 - La malattia, l’alzheimer. Una madre malata, il calvario di un figlio che non può fare niente. Il privato non ha risposte, il pubblico non ha risposte. Quale assistenza, nessuna assistenza. La disperazione, il suicidio assistito come unica soluzione.

Un grumo di riflessioni amaro ma utile è quello che Franco Tiraboschi ha tratto dal convegno ‘Alzheimer, esiste un modo diverso di vivere la malattia’. Tiraboschi è testimone autorevole per aver vissuto una vita dentro la sanità regionale come sindacalista arrivando a conoscerne gli intimi meccanismi, ma è anche reduce dai terribili anni che hanno preceduto la morte della mamma Fernanda, figura leggendaria della resistenza anconetana scomparsa di recente all’eta di 100 anni. Tiraboschi parla quindi con il cuore e con la testa, scrive una lettera di commento al convegno e una sua intima riflessione che si conclude con il disperato ricordo di Lucio Magri, altra figura storica della sinistra italiana, che scelse l’eutanasia per sfuggire alle sofferenze di una malattia senza scampo.


Nell’intervento l’ex sindacalista parte dal primo dato di fatto: di questa malattia si sa ancora troppo poco: "L’impressione di chi partecipava per la prima volta a un discussione di questo tipo e che ha vissuto sulla propria pelle i disagi che comporta l’assistenza a un parente malato anziano è che i problemi non si conoscono o, meglio, si fa finta di non conoscerli".

Drammatico il passaggio in cui Tiraboschi spiega che le famiglie sono sole: "Nel mio peregrinare in diversi istituti non ho mai visto una volta un controllo. Spesso anche all’interno delle residenze protette esistono badanti assoldate dai parenti, non qualificate, di supporto al personale. Quindi dopo le dottissime relazioni non sono riuscito a capire quale sono le possibilità che una famiglia può avere per risolvere i problemi di un parente anziano e via di testa. Per esperienza della mia famiglia, dopo aver bussato a tante porte, con la morte nel cuore e la contrarietà di mamma Fernanda mi è rimasto solo il ricovero in una residenza".


Inevitabile la conclusione che Tiraboschi fa davanti al vuoto di intervento delle istituzioni: "Ho vissuto la battaglia, insieme a Basaglia, della chiusura dei manicomi, subendo anche delle aggressioni. Conosco bene il problema. Oggi posso tranquillamente dire che i manicomi sono stati riaperti e li chiamiamo Residenze Protette o Resistenze Sanitarie Assistenziali (pochissime le eccezioni)".


Se dal punto di vista privato resta la solitudine di chi non è riuscito ad affrontare il dramma di questa malattia, una vita tra la politica e il sindacato spinge Tiraboschi a riconoscere il valore del confronto: "Non voglio dire che è tutto da rifare, anzi ritengo che complessivamente l’assistenza socio-sanitaria nella nostra regione funzioni, ma purtroppo i ritardi nell’assistenza all’anziano sono evidenti".


Ma sono le poche righe di accompagno all’intervento che davvero commuovono: "Con questo mio scritto ho voluto semplicemente dare sfogo alla mia amarezza per aver perso una persona cara (mamma Fernanda), dopo aver subito patimenti inenarrabili, lei prima di tutto, poi la famiglia. Non aver trovato le giuste soluzioni a una malattia, si molto complessa, ci ha amareggiato e non dimenticherò per tutta la vita il fatto di aver pianto insieme a lei per non aver trovato le giuste soluzioni per alleviare il suo dolore. Alla fine ha vinto il suo forte carattere e ha deciso che non era più il caso di sopravvivere in quelle condizioni. A tutt’oggi ho maturato la convinzione che l’unica soluzione è quella di cercare di risparmiare per il resto della vita i diecimila euro che mi consentano di percorre la stessa strada fatta in Svizzera da Lucio Magri".

 

Martino Martellini