Carboni, l’amore è pop: "Ma sono Luca lo stesso"

Esce il nuovo disco del cantautore bolognese

Luca Carboni

Luca Carboni

Bologna, 2 ottobre 2015 - Le bellezze tutte mascara e rossetto del video “Luca lo stesso” ricordano da vicino le mannequin radunate da Robert Palmer in quello della sua celeberrima “Addicted to love”, perché la citazione stilosa e l’ironia sono due degli ingredienti utilizzati da Carboni per confezionare tra Milano e Los Angeles il nuovo album “Pop-up”. Quello con cui torna oggi sul mercato a due anni di distanza dalla fortunata raccolta di duetti “Fisico & politico”. E a caricare questa ennesima fatica di nuove promesse c’è lo stesso gruppo di lavoro del predecessore, a cominciare dal produttore Michele Canova Iorfida; anzi, «il Mauro Malavasi degli anni Duemila» come lo definisce lui, gettando un ponte tra “Pop-up” e quel “Carboni” dell’ormai lontano ’92 a cui Luca dice di essersi rifatto innanzitutto come metodo di lavoro. «L’idea è la stessa di allora; realizzare tutto con pochissimi musicisti e una grande voglia di pop elettronico» spiega. «Così alla fine mi sono concesso il lusso di fare il supervisore artistico lasciando buona parte del lavoro sui suoni nelle mani di Canova, di Alex Alessandroni, di Christian Rigano e di Tim Pierce. Come dice Jovanotti, io ho sempre alternato nella mia carriera album in cui andavo incontro alla gente, ad altri più “cantautorali”, in cui erano gli altri a dover abbattere muri per venirmi a trovare».

Fin dal titolo, “Pop-up” si presenta come un’esaltazione della prima vocazione.

«Già. Mentre in passato mi chiudevo in un torre d’avorio per pensare a tutto io, in questo ho preferito aprirmi, condividere le canzoni come già fatto in “Fisico & politico”; solo che lì c’era uno scambio di voci mentre qui di scrittura».

A che servono le canzoni d’amore, oltre che “a vincere l’odio”, come canta in “Invincibili”?

«Vent’anni fa mi vantavo di aver raggiunto il successo senza parlare d’amore, mentre oggi penso che la grande forza stia proprio nel farlo. L’arma più grande che abbiamo noi autori di canzoni pop, infatti, è quella di rigenerare continuamente l’amore. Una grande canzone di sentimenti ha pure una funzione sociale perché contribuisce a renderci migliori. “Invincibili”, fra l’altro, è il solo pezzo del disco registrato piano e voce così come l’ho scritto».

Ci sono pure una canzone dedicata a Bologna e una per Milano, che lei definisce “un pianeta lontano”. Da che?

«Milano è la New York d’Italia, il centro del mondo, la città delle grandi opportunità, quella dell’arrivare, del realizzarsi. Pure io negli anni Ottanta progettavo di andarci a vivere».

“Milano senza fortuna mi porti con te sulla terra e sulla luna”, cantava Dalla.

«In realtà nella canzone uso il capoluogo lombardo per raccontare la ricerca di quello che ci portiamo dentro. Il pretesto per la partenza del viaggio».

Il premio Nobel Wisalwa Szymborska diceva che la poesia non piace a più di due persone su mille. Lei che cita un suo componimento in “Chiedo scusa”, concorda?

«Se è vero che oggi nessun editore crede più nella poesia come prodotto culturale di mercato, è altrettanto vero che in rete c’è una grande rinascita. Sui social noto un grande scambio di versi, di liriche, e questo mi fa pensare che la poesia non è mai morta, solo che oggi viene fruita in maniera diversa da un tempo».

Perché?

«Perché dai Beatles in poi, la musica “d’autore” dei Dylan, dei De Gregori o dei Guccini ha finito col togliergli a livello popolare un po’ di terreno. E di magia. È vero, infatti, che poesia e canzone sono due cose distinte, ma hanno dei punti di contatto; pure io ne “I ragazzi che si amano” ho rubato da Prevert così come in “Chiedo scusa” lo faccio con la Szymborska».

Nell’album c’è pure un pezzo intitolato “ Dio in cosa crede”.

«Il quesito non è teologico, ma quello di un bambino di cinque anni che, oltre a chiederti perché c’è l’acqua nel mare, si domanda: se noi crediamo in Dio e lui cosa crede? La risposta, ovviamente, è che lui crede in noi».

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